Il tempo che ci svela

Ho continuato a pensare a quello che il tempo svela, al fatto che con un po’ di coraggio, perché ci vuole coraggio, si può comprendere tutto quello che ci sembrava di non aver compreso e che ci riguarda. Mi è capitato spesso di ricostruire una vicenda oppure di riempire un buco della conoscenza o di trovare la risposta a una domanda, inaspettatamente. perché sufficientemente distaccata o finalmente libera da quegli incantesimi che mi impedivano di capire quel che era davanti agli occhi, oppure per una ragione che non so. Arriva quel momento in cui capisci e quando arriva è tutto così evidente, così facile che non puoi fare a meno di chiederti come hai fatto a non capirlo prima.
Ma c’è una cosa che il tempo svela più di tutto, sono le persone. Le persone non cambiano, si svelano. Lo dice Jung e io sono assolutamente d’accordo
Il tempo e le circostanze svelano le persone, che sono quel che sono, che siamo quel che siamo, ostinandoci a raccontarci meglio di quel che siamo, quando potremmo solo accettare che facciamo del nostro meglio, anche quando il nostro meglio è poco e che comunque le circostanze ci sveleranno, probabilmente ci hanno già svelato.

La sensazione che si prova quando improvvisamente capisci qualcosa che ti sei nascosto per anni, perché alla fine se siamo in grado di capire siamo anche in grado di negare l’evidente, è la stessa di quando cade un quadro o esplode una bottiglia di salsa fatta in casa, improvvisamente. Quando ero piccola a casa mia succedeva, si sentiva un rumore, spalancavo gli occhi e sentivo mia madre dire, non è niente, una bottiglia di salsa.

Non aveva senso per me ma era sufficiente che avesse senso per i grandi, ma ora che sono grande continua a non avere senso. Non ha senso che qualcosa succeda e si continui a dire che non è nulla, che si continui con la propria vita perché ci racconta che non è nulla.

E’ esattamente il processo di negazione a cui facciamo l’abitudine da piccoli

Immaginavo la bottiglia esplosa nel ripostiglio che lei immediatamente ripuliva per riportare tutto come sempre dal caos all’ordine e sempre prima che il caos prevalesse o che qualcuno prendesse coscienza del caos e poi si ritornava alla quiete apparente. Perché se qualcosa può esplodere, qualcosa può cadere, le tante cose di cui non abbiamo il controllo, certificano solo la quiete apparente.

Accade nelle grandi e piccole tragedie, quelle che esplodono nella vita di tutti ed è tutto circoscritto nella nostra capacità di negarci l’evidenza. Succede, è normale e non vuol dire nulla. Succede, non è normale e vuol dire la fine del mondo, per qualcuno, qualche volta.

Ma continuiamo a negare e a sorridere

Perché non siamo capaci di vedere e quando diventiamo capaci è troppo tardi per rimediare, per questo forse solo allora ci permettiamo di capire. Oppure perché quasi tutto quello che accade è irrimediabile, negare è un modo per sopravvivere finché non si acquisisce qualche risorsa per accettare e guardare in faccia il caos

Comunque oggi è Santa Lucia, da qualche parte i bambini hanno trovato i regali, siamo nel periodo in cui la notte prevale sul giorno e a me piace tanto, poi verrà la luce che prevarrà sul buio e mi piacerà anche quello

 

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complementi di luogo e Savasana

A proposito dell’andare avanti e delle ragioni che spingono ad andare avanti, oltre al movimento in sé,  il moto : a luogo,  da luogo,  per luogo,  in luogo; ripetere i complementi di moto aiuta a prendere la direzione e la rincorsa, nel caso.

Moto a luogo: Trovare un direzione, un posto dove andare, un luogo da visitare, un meta da raggiungere. Il corso di uncinetto, il corso di aramaico, in libro sulle  cinciallegre purché ci attiri, purchessia.

Moto da luogo: sapere da dove si viene, conoscersi, tenersi, riconoscere limiti e pregi, rileggere e finalmente comprendere quello che non abbiamo capito o riscrivere, nel senso di ripensare a quello che non ci è stato chiaro fino ad ora e che non abbiamo proprio compreso o almeno che non ci torna, recuperare l’episodio e capirlo, il tempo svela se ci si mette di impegno. Il tempo svela e ci svela, tutto.

moto per luogo: il mio preferito. Passare attraverso. Passare attraverso l’inferno, come Dante. Passare attraverso le stagioni come Hugh Grant in Notting Hill, passare attraverso la strada, la città, l’amore.

Stato in luogo: il più difficile di tutti, essere in sé oppure riuscire a stare con se stessi, farsi compagnia. Accettare, accettarsi. Cambiare senza evidenti trasformazioni. Lo stato in luogo è un complemento di moto difficoltoso, come Savasana nello yoga. Restare immobili è complicatissimo, bisogna stendersi, rilassare il collo la nuca, i muscoli del viso, rilassare le pelvi  e l’addome, il diaframma, sentire il busto che si apre, estendere le clavicole verso l’esterno, rilassare il dorso. Concentrarsi sulla respirazione e calmare il respiro. In genere a quel punto può succedere che vi pruda il naso, a me succede almeno, ho imparato che posso restare immobile e che se resisto, spostando l’attenzione o solo pensando di lenire il fastidio dall’interno, passa. E’ un grande successo. Stando ferma, la mia testa controllo il fastidio.

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I giorni a statuto speciale

I giorni intorno al viaggio a Milano, sono giorni a statuto speciale, mangio quel che voglio e con meno sensi di colpa, sto più tempo sulla mia poltrona e guardo film di Natale tutti uguali, cerco pace spegnendo i pensieri. Per quanto sia diventata una routine andare a Milano per i controlli, un carico di emozioni mi segue come una nuvola pesante, a volte intravedo il sole altre volte la nuvola è spessa e ho bisogno di tempo per ricominciare a respirare. Come se dovessi recuperare fiato dopo una maratona, e questo accade comunque vadano le cose. Anche nei giorni più difficili, recuperare, stare in silenzio, indugiare in ogni pratica di riposo, mi ritempra. Ma deve durare poco, oggi riprendo la solita vita, riprendo le lezioni di yoga più intense, la routine di sempre e tutto quello che mi dà la sensazione di andare avanti e che, in effetti, mi fa andare avanti. Cosa ci fa andare avanti? E’ differente eppure uguale per tutti credo; i progetti, la ricerca delle soluzioni, le promesse che ci vengono fatte e quelle che facciamo a noi stessi. Tutte le promesse sono promesse di felicità. Funzionano anche quando sappiamo come vanno a finire ma fanno andare avanti. Però quello che ci fa andare avanti, tutti, perché è una regola che vale per tutti, è il fatto stesso di andare avanti. Il moto, il continuare a dire: domani faccio quello, domani devo fare questo e anche se non potrei, anche se non è intelligente, anche se non interessa a nessuno, anche se non cambia nulla per nessuno,  io lo faccio lo stesso, e vado avanti. Lo faccio perché questo è il passo giusto per me

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il ritorno

Mi sono alzata prestissimo, svegliata tra la notte e l’alba da Giulietta, la mia gatta urlatrice. Giulietta non miagola, urla, non è stata sempre così ma è da qualche mese che esprime  ogni minimo disagio con urla che squarciano il silenzio della notte e non possiamo farci nulla.

Comunque ieri sono andata a letto molto presto e forse non avevo più sonno ed essendomi svegliata all’alba ho pensato bene di accendere una candela perché nei paesi nordici in inverno si fa così e poi perché è la seconda domenica dell’avvento, qualsiasi cosa voglia dire.

Mi invento rituali, a volte funzionano (sull’umore intendo) a volte no, quando non funzionano mi sento una cretina. Come stamattina. Comunque la casa è silenziosa e profuma di caffè. Non va così male, è solo il down del ritorno da Milano.  Poi passa. Non ho visto la mia solita dottoressa e quella che ho incontrato aveva un accento toscano strettissimo, ho dovuto spesso chiederle di ripetere e mi sono sentita fuori posto. E poi quando a me è stato diagnosticato il cancro lei sicuramente era ancora al liceo, questa cosa mi ha scocciato un po’, non perché non sia abbastanza brava, lo è ne sono sicura, perché in generale è seccante che ci sia tutta questa gente con la vita davanti, no?

Vado a farmi una doccia, mi vesto bene e mi trucco. Dovrebbe funzionare.

 

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lo sguardo e i super poteri

la mia amica Giovanna ha cominciato da poco a praticare yoga, così quando mi ha chiesto cosa intendevo dire a proposito dello sguardo che indica la direzione, mi è venuto in mente Dristhi. Le cose sono andate più o meno così: chiedi alla tua insegnante cosa è Dristhi. No,  non chiedo, è troppo impegnata con altre cose, la perdono solo perché mi sento meglio.

Praticare Yoga e sentirsi meglio, dopo poche lezioni, o non è vero oppure  significa che hai imbroccato il corso giusto, comunque ho dovuto spiegare a lei un po’ maldestramente cosa è  Drishti, ne ho pure scritto un paio di post fa. In ogni caso le ho detto che è lo sguardo che crea l’intenzione e la direzione, più o meno. Mi ha risposto: è un super potere.

E’ qualcosa a cui in effetti non avevo pensato, potrebbe pure essere un super potere nel senso yogico del super potere: abbiamo infinite risorse e attingere a loro è semplice. Quindi lo sguardo che punta ad un obiettivo e ti trascina fino all’obiettivo, anche in senso traslato, è un super potere, in un certo senso.

Come lo è l’attenzione, la concentrazione, tutti gli aspetti su cui la pratica si focalizza.

Ora, io non sono una sostenitrice del pensiero magico, considero lo yoga una chiave, un alleato, non  dò  alla pratica poteri taumaturgici sebbene mi sia e mi sia stato stata infinitamente di aiuto, però Giovanna ha ragione, Drishti, in senso traslato ma anche nel senso nello sguardo che mi porta verso la direzione, è un super potere.

Comunque io oggi sarò a Milano, quindi mi affido al super potere che mi si è appena svelato e ne riparliamo tra un paio di giorni

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Ti vedo

Ancora sullo sguardo. Stamattina ho incontrato una persona che conosco bene, nel senso che ci conosciamo da moltissimo tempo a abbiamo condiviso tante cose. Era dall’altra parte della strada, ma mentre mi preparavo a salutarlo e a scambiare due chiacchiere, ha preso un’altra direzione senza accorgersi di me.  Aveva un’espressione smarrita e sconsolata. Come se avesse avuto 4 anni e avesse appena perso di vista la mamma in un centro commerciale sconosciuto. Sconsolato e perduto. A proposito dello sguardo.

Ho considerato che ogni volta che lo incrocio per caso ha quell’aria perduta, che non è quella dell’allampanato come spesso realizzavo tra me me e me, è proprio l’aria perduta.

Sempre a proposito dello sguardo. Quando invece lo sento parlare, e mi capita spesso, in presenza di altre persone o solo in mia presenza, sembra uscito dal catalogo delle esistenze realizzate.

Poi un giorno guardi e capisci e allora ti chiedi come hai fatto a non accorgertene prima. Ma non è che non me ne accorgessi, solo trascuravo la sensazione preferendo dare credito alle parole. Stamattina ho  solo messo insieme le intuizioni che mi regala il mio sguardo. Non avrei voluto uscisse dal catalogo delle esistenze realizzate e compiaciute. Avrei preferito saperlo contento così come si racconta ma è uscito da solo, quando ho permesso al mio sguardo di ricucire tutti gli sguardi degli ultimi anni, gli sguardi che me lo hanno fatto cogliere da solo, infelice e perduto. Anche quando non davo peso al mio sguardo, ha lasciato un’impronta dentro di me

 

 

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sempre sullo sguardo (Drishti)

Continuo a pensare allo sguardo, agli sguardi e alla loro direzione. Drishti in sanscrito vuol dire sguardo, nello yoga ogni asana è accompagnata da Drishti, la direzione dello sguardo, la giusta direzione dello sguardo ci consente di eseguire correttamente la posizione.  Nella posizione del guerriero, la prima,  Virabhadrasana A,  una delle posizioni di forza e radicamento, la direzione dello sguardo è “fino al cielo”.

E’ la direzione, sempre, che ci mantiene centrati, che ci aiuta a resistere.  Non il modo il cui poggiamo le gambe, stendiamo le braccia,  o meglio non solo;  ciò che ci fa raggiungere l’obiettivo è lo sguardo. Restiamo stabili e forti guardando fino al cielo. Lo sguardo ci  raccoglie e ci porta oltre quel che vede, la direzione e la concentrazione che richiede Drishti, ci porta oltre ma ci fa restare stabili.

Dalla terra, con i piedi ben piantati, il  baricentro perfettamente allineato, con la sensazione che nulla ti possa far vacillare, che puoi farcela, la posizione del guerriero, non la raggiungi senza guardare fino al cielo.

Lo yoga insegna che bisogna mantenere lo sguardo morbido,  è lo sguardo che vede oltre cose, non giudicante, che può cambiare direzione in base all’obiettivo (alla posizione), lo sguardo che trascina avanti. Lo sperimentiamoo tutti i giorni, andiamo dove e come guardiamo.

 

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Lo sguardo

Ieri mattina sono andata a ritirare il referto di un prelievo, avevo le cuffie e l’aria sgargiante, anche gli occhiali da sole, al chiuso. Non volevo avere l’aria mesta probabilmente e mi sono vestita in modo troppo appariscente, per il luogo. Così dopo aver ritirato allo sportello il mio foglio, mi sono allontanata per leggere i risultati, uno in particolare, e devo aver detto qualcosa a fior di labbra. Alzando gli occhi ho visto che una ragazza mi stava guardando e che aveva seguito tutti i colori e i riflessi e la gamma di emozioni che era apparsa sul mio viso. Quando ho ripiegato il foglio le ho sorriso, mi ha sorriso. Ci siamo dette intere biblioteche, davvero. Le ho voluto bene, lei ne ha voluto a me. Gli occhi buoni ti restano dentro, lo sguardo benevolo resta addosso, esattamente come ferisce immensamente uno sguardo torvo. Potrei dire che il mio sguardo spesso non vede,  distratta da fili di pensieri mai interrotti oppure interrotti e ripresi, spesso non mi accorgo di cose importanti, ma deve essere stata la mia maniera di proteggermi dagli sguardi che feriscono, negarli ignorandoli. Almeno fino a un po’ di tempo fa era così, ora sono molto più attenta e concentrata. Perché  lo sguardo indica sempre la direzione, dove guardi vai e naturalmente vale anche per la testa e il cuore.

 

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Respira

Lo yoga insegna che nasciamo con un numero limitato di respiri e che l’unica possibilità che abbiamo per vivere di più è allungarli. L’esempio più frequente è quello della tartaruga, che vive tantissimo, emettendo circa 4-5 respiri al minuto.

Secondo questo ragionamento chi ha il fiato corto, chi è costantemente trafelato, in ansia e agitato, si accorcia la vita. Semplice buonsenso.

Sebbene nel piccolo osservatorio della mia esistenza non posso dire neppure di aver visto andar via prima gli ansiosi, a parità di anni raggiunti. Per cui mi sono fatta l’idea che il senso del principio sul quale alcune discipline insistono è che con i respiri lunghi, si vive semplicemente meglio.

Si dovrebbe vivere rallentando il respiro, non evitando i pensieri che lo accelerano, caso mai attraversandoli. Almeno questo è stata la mia soluzione, mutuata anche da quei principi, smettere ogni forma di evitamento; cercare, se possibile di raggiungere il centro delle cose, non negarle e non sfuggirle e nonostante tutto respirare lentamente, non sempre ci riesco ma almeno ho imparato a non negare, quando ho cominciato ho dovuto rileggere e reintepretare tutta la mia storia e scoprire che il ricordo, anche il ricordo, altro non è che interpretazione della realtà. La realtà ci sfugge appena ci sembra di raggiungerla, è l’isola perduta. Eppure se si vuole davvero allungare il respiro, bisogna provarci. I modi sono infiniti, ognuno trova il suo ma alla fine il senso delle cose è tutto lì: conoscere se stessi e farlo con i propri mezzi senza risparmiare sulla parte più dolorosa.

Qualche giorno fa una mia amica mi ha detto che vado sempre negli stessi posti. Una gallinaccia in fuga dove sa.  Non è del tutto vero, ma in parte lo è ed  è comunque il mio modo di conoscere me stessa. In ogni luogo rivisitato, vado a trovare un pezzo di me. Qualche volta verifico quella che sono stata e quella che sono, rincorro nuove cose  pure nei passi già percorsi,  ho bisogno di tornare ancora e ancora pur non avendo alcuna attrazione per la nostalgia. E’ che i luoghi sono simboli, pezzi sparsi che ritrovo nella composizione dello spazio che percorro per raggiungerli e finché risuonano ho bisogno di ritrovarli, è uno dei modi di allungare i miei respiri.

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Rosso Cremisi

Non ho mai davvero imparato la pronuncia della parola cremisi, perché è una di quelle parole che non ho mai sentito pronunciare, almeno durante gli anni in cui imparavo le parole, quindi allora decisi che si doveva dire cremìsi, perché la parola mi sembrava bella e buona come una crema, una crema rosso cremìsi, naturalmente. Poi, da grande ho imparato che cremisi è una parola sdrucciola, si dice crèmisi ma io ho interiorizzato cremìsi e siccome non mi è neppure chiarissimo quale sfumatura di rosso sia il cremisi, è una di quelle parole che amo ma che non pronuncio mai. Per me è una parola da leggere, colore misterioso di un bosco narrativo nel quale mi perdevo da sola e inventavo la pronuncia delle parole che non sentivo mai.

Oggi ho letto una lettera di Emily Dickinson al fratello, in cui descriveva l’autunno e il tramonto di un rosso cremisi che io, nella mia testa, ho letto cremìsi.

E parlava di uva dolce e rigogliosa, di mele e sidro e foglie che cadono, nel mio bosco narrativo è quello l’autunno, anche se io non ho mai avuto un vigneto né un castagneto e neppure un meleto (altra parola che mi piace tanto, che forse uso per la prima volta, ma che trovo dolce come il miele perché stratifico sensazioni, almeno nel mio bosco narrativo). E non ho mai visto neppure un tramonto cremisi perché di preciso non saprei che sfumatura possa avere.

Parlare del tempo e delle stagioni per non parlare del tempo che passa, avrebbe detto lo scrittore triste e offeso del Meraviglioso Mondo di Amélie.

Parlare del tempo e delle stagioni per non parlare di quello di cui sarebbe necessario parlare, ma non riesco a trovare il cremisi nelle parole che sento e che si rincorrono, nella stretta attualità. Non mi risuonano queste parole dette e ascoltate e poi ancora dette e ascoltate come se fossimo sempre immersi nell’eterno giorno della Marmotta e allora io, tanto per cambiare,  le rifuggo. Non saprei come altro fare

Saluti dal mio bosco narrativo che fa compagnia, un poco scalda e un poco consola, per questo autunno, vivo lì. E mi immagino a raccogliere parole cremisi gonfie e dolci come castagne.

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