Ti vedo

Ancora sullo sguardo. Stamattina ho incontrato una persona che conosco bene, nel senso che ci conosciamo da moltissimo tempo a abbiamo condiviso tante cose. Era dall’altra parte della strada, ma mentre mi preparavo a salutarlo e a scambiare due chiacchiere, ha preso un’altra direzione senza accorgersi di me.  Aveva un’espressione smarrita e sconsolata. Come se avesse avuto 4 anni e avesse appena perso di vista la mamma in un centro commerciale sconosciuto. Sconsolato e perduto. A proposito dello sguardo.

Ho considerato che ogni volta che lo incrocio per caso ha quell’aria perduta, che non è quella dell’allampanato come spesso realizzavo tra me me e me, è proprio l’aria perduta.

Sempre a proposito dello sguardo. Quando invece lo sento parlare, e mi capita spesso, in presenza di altre persone o solo in mia presenza, sembra uscito dal catalogo delle esistenze realizzate.

Poi un giorno guardi e capisci e allora ti chiedi come hai fatto a non accorgertene prima. Ma non è che non me ne accorgessi, solo trascuravo la sensazione preferendo dare credito alle parole. Stamattina ho  solo messo insieme le intuizioni che mi regala il mio sguardo. Non avrei voluto uscisse dal catalogo delle esistenze realizzate e compiaciute. Avrei preferito saperlo contento così come si racconta ma è uscito da solo, quando ho permesso al mio sguardo di ricucire tutti gli sguardi degli ultimi anni, gli sguardi che me lo hanno fatto cogliere da solo, infelice e perduto. Anche quando non davo peso al mio sguardo, ha lasciato un’impronta dentro di me

 

 

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Lo sguardo

Ieri mattina sono andata a ritirare il referto di un prelievo, avevo le cuffie e l’aria sgargiante, anche gli occhiali da sole, al chiuso. Non volevo avere l’aria mesta probabilmente e mi sono vestita in modo troppo appariscente, per il luogo. Così dopo aver ritirato allo sportello il mio foglio, mi sono allontanata per leggere i risultati, uno in particolare, e devo aver detto qualcosa a fior di labbra. Alzando gli occhi ho visto che una ragazza mi stava guardando e che aveva seguito tutti i colori e i riflessi e la gamma di emozioni che era apparsa sul mio viso. Quando ho ripiegato il foglio le ho sorriso, mi ha sorriso. Ci siamo dette intere biblioteche, davvero. Le ho voluto bene, lei ne ha voluto a me. Gli occhi buoni ti restano dentro, lo sguardo benevolo resta addosso, esattamente come ferisce immensamente uno sguardo torvo. Potrei dire che il mio sguardo spesso non vede,  distratta da fili di pensieri mai interrotti oppure interrotti e ripresi, spesso non mi accorgo di cose importanti, ma deve essere stata la mia maniera di proteggermi dagli sguardi che feriscono, negarli ignorandoli. Almeno fino a un po’ di tempo fa era così, ora sono molto più attenta e concentrata. Perché  lo sguardo indica sempre la direzione, dove guardi vai e naturalmente vale anche per la testa e il cuore.

 

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Rosso Cremisi

Non ho mai davvero imparato la pronuncia della parola cremisi, perché è una di quelle parole che non ho mai sentito pronunciare, almeno durante gli anni in cui imparavo le parole, quindi allora decisi che si doveva dire cremìsi, perché la parola mi sembrava bella e buona come una crema, una crema rosso cremìsi, naturalmente. Poi, da grande ho imparato che cremisi è una parola sdrucciola, si dice crèmisi ma io ho interiorizzato cremìsi e siccome non mi è neppure chiarissimo quale sfumatura di rosso sia il cremisi, è una di quelle parole che amo ma che non pronuncio mai. Per me è una parola da leggere, colore misterioso di un bosco narrativo nel quale mi perdevo da sola e inventavo la pronuncia delle parole che non sentivo mai.

Oggi ho letto una lettera di Emily Dickinson al fratello, in cui descriveva l’autunno e il tramonto di un rosso cremisi che io, nella mia testa, ho letto cremìsi.

E parlava di uva dolce e rigogliosa, di mele e sidro e foglie che cadono, nel mio bosco narrativo è quello l’autunno, anche se io non ho mai avuto un vigneto né un castagneto e neppure un meleto (altra parola che mi piace tanto, che forse uso per la prima volta, ma che trovo dolce come il miele perché stratifico sensazioni, almeno nel mio bosco narrativo). E non ho mai visto neppure un tramonto cremisi perché di preciso non saprei che sfumatura possa avere.

Parlare del tempo e delle stagioni per non parlare del tempo che passa, avrebbe detto lo scrittore triste e offeso del Meraviglioso Mondo di Amélie.

Parlare del tempo e delle stagioni per non parlare di quello di cui sarebbe necessario parlare, ma non riesco a trovare il cremisi nelle parole che sento e che si rincorrono, nella stretta attualità. Non mi risuonano queste parole dette e ascoltate e poi ancora dette e ascoltate come se fossimo sempre immersi nell’eterno giorno della Marmotta e allora io, tanto per cambiare,  le rifuggo. Non saprei come altro fare

Saluti dal mio bosco narrativo che fa compagnia, un poco scalda e un poco consola, per questo autunno, vivo lì. E mi immagino a raccogliere parole cremisi gonfie e dolci come castagne.

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Spaesamento

La buona ragione per essere qui e ora la trovo spesso nell’essere altrove alla ricerca di uno spaesamento. Potrebbe essere una risposta pavloviana agli stimoli di un’epoca, sia pure al tramonto, di viaggi low cost in cui concentrare due foto e un sospiro. Potrebbe ma non lo è.

La ricerca dello spaesamento per me è radici. Non sto inseguendo il paradosso facile, provo a spiegarlo.

Per ragioni trascurabili, pur avendo ricercato sempre o avendo sempre creduto di cercare un centro,  non l’ho davvero mai trovato ma è come se ogni volta lo raggiungessi e lo ritrovassi  esploso in mille centri, solo così recupero una parte di me nel movimento, nel non essere a casa sono a casa e lo sono proprio mentre sono spaesata tra luoghi che non conosco.

La dimensione non è quella della fuga, quella è solo una dimensione apparente, ma dell’eterno ritorno a casa, anche se non so dove è. Così casa è dove ritrovo un oggetto che mi è stata caro, un profumo che non avevo sentito e che diventa  insostituibile, un sogno che non avevo ma che ora mi appare imprescindibile, una sensazione nuova eppure antica. Così casa è il viaggio nella mia ricerca di centro.

Da quando lo so ho smesso di disperarmi per i mille pezzi di me dispersi mentre cercavo di raccoglierli e tenerli stretti, io sono quei pezzetti disperati e dispersi. Li raggiungerò uno ad uno nel movimento tra l’uno e l’altro, come si fa per congiungere i puntini tratteggiati e sarò sempre tra un puntino e l’altro e non mi fermerò mai

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A Christmas Carol tutto mio

E’ da novembre che per me è Natale, non che sappia esattamente cosa sia il Natale quindi nella ricerca di senso  sono ripartita dai classici e invece di rileggere ho ascoltato A Christmas Carol su Rai Play Sound scoprendo così che se a Londra il giorno di Natale si ferma tutto, compresa la metropolitana, è proprio per il racconto di Dickens che svelò incontestabilmente le condizioni lavorative di adulti e bambini e almeno per il giorno di Natale, si ovviò con una giornata in cui tutti, proprio tutti,  sarebbero stati con le loro famiglie. La situazione di quella Londra e di quei lavoratori è cambiata, forse neanche per tutti,  ma il giorno di Natale a Londra continua a essere un giorno lunare anche se dal 26 si ricomincia dal boxing day e neppure ti ricordi che esiste un giorno in cui la città sembra abitata solo da fantasmi. Nei giorni di Natale, io cucino di più e mi piace ascoltare podcast o audiolibri quando cucino, in generale quando ho le mani occupate, così ho ascoltato oltre a Nemici,  di Singer, un podcast dal titolo Mostarda.

Mostarda sta per gas Mostarda e racconta una vicenda per me quasi sconosciuta sebbene abiti a Bari e sia nata non molto lontano. Una vicenda di cui del tutto casualmente sono venuta a conoscenza leggendo  l’Imperatore del Male (sottotitolo:  Una biografia del cancro) di Siddhartha Mukherjee, che per quel libro vinse un Pulitzer. Ho scoperto che la nascita della moderna chemioterapia si deve a un episodio di guerra accaduto il 2 dicembre del 1943 nel porto di Bari e che ha per protagonista l’iprite, il gas Mostarda, per l’appunto.

Quella notte aerei tedeschi bombardarono il porto di Bari e bombardarono anche la  SS John Harvey la cui stiva conteneva 2.000 bombe all’iprite, dal terribile odore di aglio e senape, gas già proibito dalla convenzione di Ginevra del 1925. Sembra che fosse lì solo allo scopo di essere utilizzato nel caso in cui i tedeschi non avessero rispettato gli accordi e fatto ricorso alle armi chimiche, comunque quelle 2.000 bombe esplosero e coprirono la città di un odore malefico, uccisero 1.000 soldati e molti civili che però mai nessuno contò e a cui nessuno ha mai dato un nome. L’attacco fu tenuto segreto. Sembra che quel giorno tirasse un vento di ponente, cosa non usuale in una città sempre esposta al levante, allo scirocco, al maestrale, ma quel vento scongiurò un disastro ancora più grande. La mano di San Nicola, qualcuno sussurrò, che si festeggiava pochi giorni dopo l’accaduto. Nessuno di preciso ha mai saputo quanti siano stati i morti in conseguenza dell’esposizione a quel gas e alla miscela che con l’acqua di mare ne derivò, non solo quella notte, ma in seguito, trattandosi di un gas noto già per essere letale, nessuno ha mai saputo quanti dei decessi negli anni successivi fosse da ricondurre a quell’esplosione. Si sa che molti ragazzi si tuffarono in mare per recuperare pezzi di ferro che durante la guerra si potevano rivendere e molti di loro furono contaminati, si sa che i pesci pescati avevano delle bolle giallastre e che venivano ributtati in mare, si sa che ogni tanto veniva tirato su qualche reperto ancora nauseabondo, si sa che una vera opera di bonifica non fu fatta, i pescatori fecero delle mappe a loro uso per evitare le zone più contaminate, difficile credere che l’iprite non sia entrata nella catena alimentare della popolazione. Tentativi di bonifica sono stati fatti, nel ’47 ad esempio, fu domato un incendio che avrebbe potuto causare una ulteriore fuoriuscita di iprite. Ma molti di quei reperti, sono ancora lì.

A indagare sul disastro, gli americani inviarono un cardiologo, Stewart Alexander, che pur essendo ignaro della presenza di iprite nella zona, la notizia doveva restare segreta, era esperto in armi chimiche quindi capì che la dermatite di cui si faceva cenno nelle cartelle cliniche, derivava dalla mistura di gas e olio combustibile nel quali molti soldati avevano nuotato. Alexander scoprì anche che tutti coloro che avevano la dermatite negata, quelli sopravvissuti, di fatto avevano una leucopenia, ovvero la mistura distruggeva le cellule selettivamente, ipotizzando l’uso dell’iprite nel trattamento delle leucemie, di fatto grazie ad Alexander nacque il principio della chemioterapia.

Molti anni dopo si tentò di ricostruire i decessi della popolazione, attraverso documenti e informazioni rintracciati anche attraverso le parrocchie, che conservavano notizie sui battesimi e quindi sulla popolazione giovane dell’epoca ma la lo studio fu abbandonato per mancanza di fondi. Ora sarebbe facile concludere retoricamente sulla mancanza di memoria del paese e sullo spreco di denaro quando invece ne servirebbe per la ricerca, lo studio e la conoscenza, unica risorsa che ha ricadute sulla vita di tutti, quindi non lo farò e mi preparerò per il nuovo anno cucinando. Auguri

 

 

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Creta in maggio

In Cunk on Earth, Philomena Cunk dice che i greci hanno inventato tante cose alcune delle quali scomparse, come la democrazia e le colonne. Sbaglia; le colonne sono sopravvissute, anche se spesso sono posticce come quelle del palazzo di Cnosso a Creta. Visitare i siti archeologici è spesso deludente per me, ma del resto tutto quello che ha davvero valore naturalmente viene messo in un museo, esiste però il potere dei luoghi e io lo subisco, pensare che davvero in quel luogo calpestato da me ci sia stato il palazzo di Cnosso intorno al quale è fiorita una civiltà che ha vissuto pacificamente e senza mura di protezione così tanto tempo fa intorno a cui sono fiorite leggende e miti, lo trovo emozionante. Poi ci sono andata in una giornata di pioggerellina leggera in cui non avrei potuto fare molto altro.

Da Chania ho preso l’autobus per Heraclion e ho attraversato montagne, visto spiagge battute da un vento pazzo e condiviso il viaggio con isolani, tanti, che evidentemente utilizzano moltissimo quel mezzo in assenza di treni e qualche turista, come me.

A Heraclion ha cominciato a piovere e quindi ho preso un taxi fino al Palazzo di Cnosso, sono entrata velocemente perché non c’era tanta gente, velocemente sono uscita, ripreso il taxi e tornata a Heraclion. Una giornata di pioggia in cui ho pensato a me che sono arrivata lì quasi per caso e ad Henry Miller che invece ci arrivò durante una estate in Grecia in cui si era fermato a trovare il suo  amico Lawrence Durrell, che aveva desiderato visitare i resti Palazzo di Cnosso per venti anni, nella descrizione che fa di quella visita, sottolinea che si sente l’influenza dell’Egitto.

Che evidentemente a me è sfuggita, perché a me dei siti archeologici mancano i codici per decifrare gli elementi;  però ho colto una delle descrizione della guida in cui parlava di Creta come di un’isola tra tre continenti, Europa, Africa e Asia. Vero, non ci avevo mai pensato, per questo è stata così importante nella storia antica, per forza.

A Creta è nata anche dieta mediterranea o cretese, fatta di pochi carboidrati integrali (ovviamente) e molte verdure, erbe spontanee di cui l’isola in effetti è piena, di olio di oliva, poco formaggio di pecora o capra e pochissima carne e pesce. Dolci quasi inesistenti, per lo più frutta secca con un po’ di miele.

Le somiglianze con la cucina tradizionale pugliese sono enormi, quasi sbalorditive considerando che geograficamente è una delle isole più lontane dalla Puglia, però evidentemente i terremoti a partire da quello che devastò Santorini nel 1600, devono aver favorito insediamenti di intere colonie provenienti da Creta in Puglia.

L’isola in maggio è ricca di fiori e profumi della primavera, un po’ fredda per il mare per me, ma io non faccio testo perché mi bagno solo nelle giornate torride e senza vento, l’urbanistica soprattutto a Heraclion è devastata dalla speculazione e forse anche dai frequenti terremoti. Chania è più bella, con un vecchio porto e un lungo mare che offrono una splendida e lunga passeggiata, anche la città vecchia di impronta veneziana, ci sono pure le calli, lo è. Piena di ristoranti, negozi e abitazioni per turisti. Carina ma un po’ fasulla, un po’ come quasi tutto il Mediterraneo. Se non vai in spiaggia, lo noti di più.

p.s: Se non avete visto Cunk on Earth su Netflif, vedetelo. Trovo Philomena Cunk irresitibile.

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