Gümüşlük

A Gümüşlük, costa meridionale dell’Egeo, c’è un luogo astratto, paradigmatico, uno di quei luoghi in cui tutti almeno una volta, e poi mille altre volte ancora, abbiamo pensato di sparire. Il posto che ti immagini quando non ne puoi più, remoto e irraggiungibile, fatto di mare e cielo e lontananze. Non è distante dal paese ma lo sembra, non è lontano dall’umanità ma la sensazione è quella. Un piccolo ristorante con pensione, disabitato già a fine settembre, con una signora di nazionalità non dichiarata a gestirlo, potrei essere io quella. Per la nazionalità non dichiarata e per il non dichiarato generico o solo perché è plausibile. Nancy, si chiama, mi piaceva un sacco il nome Nancy quando ero piccola per ragioni che ora fatico a comprendere, come mi piaceva il nome Denise, per ragioni ancora più oscure. Deniz in turco significa Mare, una Nancy a deniz mi ha fatto trasecolare sul mio senso del futuro onomatopeico e anche un po’ profetico. Va bene, lo so è un caso, ma c’è una soglia di esistenza in cui affiorano i più dimenticati e inutili ricordi dell’infanzia, pure se non li cerchi. Nancy di deniz si è offerta di accoglierci anche per lunghi periodi e io ho custodito gelosamente il suo numero di telefono, ci accordiamo, ha detto. Una soluzione la troviamo. Una Nancy di deniz che trova soluzioni dall’altrove, era proprio quello che mi ci voleva. La sua pensione si chiama Sisyphos e su questa risonanza preferisco non calcare perché se no poi tutto prende una piega un po’ melodrammatica e non è il caso. Il mare ieri era forte, lambiva la piccola costruzione e i pochi tavoli deserti, il vento fresco era profumato. Si vedeva solo il mare

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io sono da solo e gli altri sono tutti

Non so se succede solo a me, ma l’estate afosa come quella passata mi ha offerto spunti e giustificazioni per protrarre la mia poca voglia di socializzare. In effetti l’idea di attraversare borghi affollati in cerca di strapuntini e di risse per guadagnare un bicchiere mi uccide anche a settembre. Così come il chiacchiericcio fasullo e di circostanza a cui però, una volta che ci sei, non puoi sottrarti.  Se ci aggiungi il caldo spesso, la sensazione di vivere in un bagno turco senza uscita nel quale devi pure sforzarti di avere l’aria di goderti la vita, mi avvilisco e resto a casa con le infradito e il vestitino minuscolo con le bretelline, che tanto non mi vede nessuno. La meravigliosa estate in Puglia, vabbè.

Ma poi l’estate passa e non ci sono più scuse ed è come uscire dall’adolescenza in cui eri assolutamente certo di essere tu da solo mentre gli altri sono tutti. La definizione della sensazione è di Dostoevskij ovviamente, non la mia. Ma siccome non vogliamo mantenerci così alti, un’altra sensazione che mi viene in mente in momenti simili  è quella di Bridget Jones: ecco lo sapevo, tutti si divertono tranne me. Piano piano, poi e con il tempo, tanto tempo, ci si rende conto che noi siamo tutti e che in effetti nessuno diverte. Arriva il maledetto settembre, devi uscire, muoverti e partire e devi avere dei piani sensazionali per essere tutti, ah ma questa volta forse ce li ho.

 

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Insolita estate 2

Ci eravamo lasciati sulla ricerca delle cose che cambiano, se si dissolvono e se conta solo l’essenza, e anche su che cosa è l’essenza, se si dissolve anche quella. Non ho trovato una risposta naturalmente, oppure è sempre la stessa. L’essenza è il viaggio, come percorri la strada, cosa lasci e cosa ti porti, cosa ti ha migliorato. Forse anche cosa ti ha peggiorato. Di tanto in tanto ritorno sulla definizione che diede Fitzgerald della vita: la vita è un processo di disgregamento, c’è una verità che provo a intuire in questa definizione. Il viaggio della vita è un processo non tanto a perdere quanto a sottrarre, ma tra il perdere e il sottrarre la linea è sottile, il viaggio più confortevole è il viaggio leggero, in cui devi portarti solo l’essenziale. Ma cosa è l’essenziale? Pochi abiti intercambiabili e che stanno bene tra di loro? Vivere con chi ci somiglia e che ci illudiamo ci appartenga? O l’essenziale come dicono i mistici, e anche Saint-Exupéry è l’amore, perché l’essenziale è invisibile agli occhi? Davvero tutto si riduce a questo? Al tramonto della vita saremo giudicati sull’amore (San Giovanni della Croce). Già ma cosa è l’amore? Di quale amore parliamo? Che vuol dire? Quanta manipolazione c’è nell’amore, quanto narcisismo, quante volte scambiamo la volontà di affermare noi stessi per il bene dell’altro? E come si fa a imparare? E ci importa poi davvero di come saremo giudicati al tramonto della vita?

Torno al principio;  muoversi, andare avanti con bagaglio leggerissimo, accogliere chi viene verso di noi e sorridere a chi si allontana. Altro non c’è.

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insolita estate

questa è l’estate della ricostruzione della mia storia attraverso la scelta di cosa tenere e cosa escludere durante la riorganizzazione di una casa in cui ho vissuto per molti anni e che negli ultimi 15 ho lentamente ignorato prima e abbandonato poi. Le ragioni poco importano, chi svuota una casa lo sa, rimescola la propria vita.

La scelta degli oggetti da tenere e da eliminare l’ho fatta in gran parte da sola, dagli oggetti più grandi e importanti agli oggetti infinitamente piccoli, certo in qualche caso sono state scelte funzionali al nuovo aspetto dell’ambiente ma soprattutto ho scelto quello che ancora risuonava con qualche aspetto di me, Così alla fine ho scelto di conservare almeno un oggetto di quello che non esiste più ma che è esistito e che posso riconoscere solo io. Ho trattenuto oggetti la cui storia è sconosciuta per tutti ma non per me. Pochi, pochissimi, grande spazio a ciò che sono diventata ma non ho davvero raso al suolo nessuna delle tante vite a cui sono sopravvissuta.

Moltissimi anni fa lessi su un manuale serio che il trasloco dopo il lutto e il divorzio era da considerare tra gli eventi più stressanti che potevano capitare a un individuo. E’ vero che il manuale non comprendeva le guerre, le stragi, le carestie ma mi sembrò ugualmente una esagerazione, però l’ho sempre tenuto a mente e in effetti negli anni mi sono spostata senza aver fatto mai davvero un trasloco e secondo modalità diverse, ed è anche vero che io ho fatto un trasloco nella mia stessa casa per cui non vale come un trasloco reale, tuttavia l’esperienza ha mosso infinite emozioni che dopo varie settimane ancora non riesco a pacificare del tutto.

Sono contenta però, non solo del risultato ma di averlo fatto, il mio viaggio dentro di me.

Non che faccia altro nella vita che non sia cercare di capire e arrivare al punto, i mille mila viaggi dentro di me, eppure questo percorso è stato una sorpresa. Tante volte mi sono chiesta dove è la me di 10, di 20 e di 30 anni fa, se ne parlo con qualcuno in genere mi sento dire: in fondo sei sempre la stessa; no. Non sono la stessa, per forza. Anche perché è costata molta fatica proseguire il viaggio, sarebbe molto triste se fossi sempre la stessa. E poi so di non esserlo. Anni fa, intorno ai 13 anni di mio figlio, mi prese una sorta di malinconia e nostalgia del bambino che non trovavo più, anche allora mi chiedevo, dove è andato il mio bambino? Sì quello, quello piccolo. Non questo qui che non conosco. Dove va tutto quello che cambia? Sì certo, lo impariamo alle medie, nulla si distrugge e tutto si trasforma, poi c’è Eraclito al primo liceo e sappiamo che tutto scorre, ma non è perdita anche quella? Ineluttabile e dolorosa ugualmente? Dove va tutto quello che cambia? Dentro di noi, direbbe un saggio, siamo il percorso fatto, siamo quello e anche altro e per altro si intende quello che siamo stati. Non lo so, non sono sicura.

Così vedendo in fila tutte le mie vite, le chiamo così, ho le mie ragioni, mi sono ricordata di Pinocchio e di tutte le sue trasformazioni che erano morti e rinascite e credo che sia proprio così che funziona, questa è l’unica spiegazione con un po’ di senso che sono riuscita a trovare, ogni passaggio è morte e rinascita, infinitamente. Senza scomodare i saggi e gli asceti. E’ la condizione umana, l’esperienza di tutti. Non a caso la sofferenza deriva dalla incapacità di accettare i cambiamenti. Averlo capito non  fa meno male. L’impermanenza certo. Sono leggi universali note, ma io ancora non so dove vanno le cose che cambiano. Si dissolvono? Non contano? E cosa conta, solo l’essenza?  Ma non rimane neppure quella. Ci penso un po’, poi vi dico.

 

 

 

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Spaesamento

La buona ragione per essere qui e ora la trovo spesso nell’essere altrove alla ricerca di uno spaesamento. Potrebbe essere una risposta pavloviana agli stimoli di un’epoca, sia pure al tramonto, di viaggi low cost in cui concentrare due foto e un sospiro. Potrebbe ma non lo è.

La ricerca dello spaesamento per me è radici. Non sto inseguendo il paradosso facile, provo a spiegarlo.

Per ragioni trascurabili, pur avendo ricercato sempre o avendo sempre creduto di cercare un centro,  non l’ho davvero mai trovato ma è come se ogni volta lo raggiungessi e lo ritrovassi  esploso in mille centri, solo così recupero una parte di me nel movimento, nel non essere a casa sono a casa e lo sono proprio mentre sono spaesata tra luoghi che non conosco.

La dimensione non è quella della fuga, quella è solo una dimensione apparente, ma dell’eterno ritorno a casa, anche se non so dove è. Così casa è dove ritrovo un oggetto che mi è stata caro, un profumo che non avevo sentito e che diventa  insostituibile, un sogno che non avevo ma che ora mi appare imprescindibile, una sensazione nuova eppure antica. Così casa è il viaggio nella mia ricerca di centro.

Da quando lo so ho smesso di disperarmi per i mille pezzi di me dispersi mentre cercavo di raccoglierli e tenerli stretti, io sono quei pezzetti disperati e dispersi. Li raggiungerò uno ad uno nel movimento tra l’uno e l’altro, come si fa per congiungere i puntini tratteggiati e sarò sempre tra un puntino e l’altro e non mi fermerò mai

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