A Christmas Carol tutto mio

E’ da novembre che per me è Natale, non che sappia esattamente cosa sia il Natale quindi nella ricerca di senso  sono ripartita dai classici e invece di rileggere ho ascoltato A Christmas Carol su Rai Play Sound scoprendo così che se a Londra il giorno di Natale si ferma tutto, compresa la metropolitana, è proprio per il racconto di Dickens che svelò incontestabilmente le condizioni lavorative di adulti e bambini e almeno per il giorno di Natale, si ovviò con una giornata in cui tutti, proprio tutti,  sarebbero stati con le loro famiglie. La situazione di quella Londra e di quei lavoratori è cambiata, forse neanche per tutti,  ma il giorno di Natale a Londra continua a essere un giorno lunare anche se dal 26 si ricomincia dal boxing day e neppure ti ricordi che esiste un giorno in cui la città sembra abitata solo da fantasmi. Nei giorni di Natale, io cucino di più e mi piace ascoltare podcast o audiolibri quando cucino, in generale quando ho le mani occupate, così ho ascoltato oltre a Nemici,  di Singer, un podcast dal titolo Mostarda.

Mostarda sta per gas Mostarda e racconta una vicenda per me quasi sconosciuta sebbene abiti a Bari e sia nata non molto lontano. Una vicenda di cui del tutto casualmente sono venuta a conoscenza leggendo  l’Imperatore del Male (sottotitolo:  Una biografia del cancro) di Siddhartha Mukherjee, che per quel libro vinse un Pulitzer. Ho scoperto che la nascita della moderna chemioterapia si deve a un episodio di guerra accaduto il 2 dicembre del 1943 nel porto di Bari e che ha per protagonista l’iprite, il gas Mostarda, per l’appunto.

Quella notte aerei tedeschi bombardarono il porto di Bari e bombardarono anche la  SS John Harvey la cui stiva conteneva 2.000 bombe all’iprite, dal terribile odore di aglio e senape, gas già proibito dalla convenzione di Ginevra del 1925. Sembra che fosse lì solo allo scopo di essere utilizzato nel caso in cui i tedeschi non avessero rispettato gli accordi e fatto ricorso alle armi chimiche, comunque quelle 2.000 bombe esplosero e coprirono la città di un odore malefico, uccisero 1.000 soldati e molti civili che però mai nessuno contò e a cui nessuno ha mai dato un nome. L’attacco fu tenuto segreto. Sembra che quel giorno tirasse un vento di ponente, cosa non usuale in una città sempre esposta al levante, allo scirocco, al maestrale, ma quel vento scongiurò un disastro ancora più grande. La mano di San Nicola, qualcuno sussurrò, che si festeggiava pochi giorni dopo l’accaduto. Nessuno di preciso ha mai saputo quanti siano stati i morti in conseguenza dell’esposizione a quel gas e alla miscela che con l’acqua di mare ne derivò, non solo quella notte, ma in seguito, trattandosi di un gas noto già per essere letale, nessuno ha mai saputo quanti dei decessi negli anni successivi fosse da ricondurre a quell’esplosione. Si sa che molti ragazzi si tuffarono in mare per recuperare pezzi di ferro che durante la guerra si potevano rivendere e molti di loro furono contaminati, si sa che i pesci pescati avevano delle bolle giallastre e che venivano ributtati in mare, si sa che ogni tanto veniva tirato su qualche reperto ancora nauseabondo, si sa che una vera opera di bonifica non fu fatta, i pescatori fecero delle mappe a loro uso per evitare le zone più contaminate, difficile credere che l’iprite non sia entrata nella catena alimentare della popolazione. Tentativi di bonifica sono stati fatti, nel ’47 ad esempio, fu domato un incendio che avrebbe potuto causare una ulteriore fuoriuscita di iprite. Ma molti di quei reperti, sono ancora lì.

A indagare sul disastro, gli americani inviarono un cardiologo, Stewart Alexander, che pur essendo ignaro della presenza di iprite nella zona, la notizia doveva restare segreta, era esperto in armi chimiche quindi capì che la dermatite di cui si faceva cenno nelle cartelle cliniche, derivava dalla mistura di gas e olio combustibile nel quali molti soldati avevano nuotato. Alexander scoprì anche che tutti coloro che avevano la dermatite negata, quelli sopravvissuti, di fatto avevano una leucopenia, ovvero la mistura distruggeva le cellule selettivamente, ipotizzando l’uso dell’iprite nel trattamento delle leucemie, di fatto grazie ad Alexander nacque il principio della chemioterapia.

Molti anni dopo si tentò di ricostruire i decessi della popolazione, attraverso documenti e informazioni rintracciati anche attraverso le parrocchie, che conservavano notizie sui battesimi e quindi sulla popolazione giovane dell’epoca ma la lo studio fu abbandonato per mancanza di fondi. Ora sarebbe facile concludere retoricamente sulla mancanza di memoria del paese e sullo spreco di denaro quando invece ne servirebbe per la ricerca, lo studio e la conoscenza, unica risorsa che ha ricadute sulla vita di tutti, quindi non lo farò e mi preparerò per il nuovo anno cucinando. Auguri

 

 

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I giorni del pensiero magico

Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai partito. Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua, dove non fui mai. (Giorgio Caproni)

Questa mattina ho preso tre carte dal mazzo dei tarocchi marsigliesi, metodo Jodorowsky, non è cosa che accade spesso perché pur avendo dedicato qualche settimana della mia vita passata a studiarli è una delle tante cose che ho dimenticato, ma poi ci sono i giorni del pensiero magico.

Da due settimane ho un dolore lombare e non riesco a ridurlo e non riesco a non pensarci e sono stanca. Di solito passa o diminuisce, questa volta no, quindi faccio ricorso a tutto quello che so per alleviare la pena, mi ricordo che invece del caldo è meglio il freddo e allora prendo il ghiaccio secco a forma di ananas che ho nel freezer, gli analgesici non mi fanno effetto e persino le posizioni yoga che di solito mi aiutano sembrano peggiorare la situazione. Il dolore mi intristisce, mi fa vedere tutto nero. Amplifica la solitudine, non lo puoi condividere.

Anni fa ho letto un libro che si chiama Dolore, di  Zeruya Shalev;  il dolore provato fin nell’ultima cellula delle ossa della protagonista, vittima di un attentato, viene sovrapposto a un altro dolore che come quello fisico, le aveva fatto desiderare di morire. Nel mondo del pensiero magico, il dolore fisico è sempre riconducibile a una risonanza con un dolore emotivo, non ci credo, però visto che è facile e per provarle tutte, ho preso tre carte dal mazzo dei tarocchi marsigliesi. Ho quindi posto questa domanda: Universo cosa vuoi da me? La prima carta è stato Il Sole, la seconda La Stella, la terza La Carta senza Nome ovvero La Morte. Per chi non si intende di tarocchi dico subito che no, l’Universo non vuole la mia morte, la Carta senza Nome nel metodo Jodorowsky è una carta di trasformazione, certo per chi crede, anche la morte lo è.

IL Sole e La Stella e La Carta senza Nome sono trionfo e slancio verso il cambiamento radicale, sono carte benevole o meglio lo sarebbero se io volessi un cambiamento. Ma la prima cosa che mi viene in mente è: un altro cambiamento? No, dai universo, ripensaci, magari negoziamo, ti propongo un appianamento;  una soluzione senza traumi, guarda rinuncio pure al trionfo, i cinquanta giorni da orsacchiotto di Troisi sarebbero perfetti, non so se hai presente.

Mi tengo pure il dolore, mi basta che si attenui, provo con la meditazione e mi concentro sulle parti del corpo senza dolore, un po’ funziona. Poi la prossima settimana parto, caro Universo e non ci penso proprio a rinunciare, allineati come devi.

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Caro Diario, sono felice solo in mare

Stamattina ho visto in rete un fotogramma di Nanni Moretti tratto da Caro Diario con questa didascalia: sono felice solo in mare. Siccome lui indossa una giacca e scrive, immagino si riferisca al viaggio in traghetto, non mi ricordo questa scena del film, deduco.

Credo che sia una di quelle immagini che arrivano in base alla profilazione dell’utente, in effetti ieri ho parlato con una mia amica di Caro Diario e abbiamo pure parlato del mare e della Sicilia.

A parte l’aspetto inquietante della profilazione, ma ci vorrebbero e ci sono, biblioteche a parte sull’argomento perché non credo che il mio post contribuirà significativamente al dibattito, mi chiedevo perché a me fa lo stesso effetto il viaggio in mare, persino un piccolo tratto in vaporetto a Venezia o a Istanbul mi rende felice. Forse il vento, la sensazione di ignoto ma rassicurata dalla meta, forse l’odore salmastro che attiva la sensazione di benessere, forse l’eterno viaggio di Ulisse. Vado, conquisto il mondo e torno, forse. Ma forse non torno, dipende da quello che trovo.

Forse anche la certezza che non torni mai comunque nella stessa maniera in cui sei partito, l’avventura che nel peggiore dei casi, almeno faranno i tuoi occhi, quello che vedrai e non sai, quel che ascolterai e ancora non ascolti. Oppure banalmente il bisogno di allontanarti da te, dai tuoi pensieri, dal tuo futuro che per quanto ancora inesplorato, un semplice calcolo statistico ti fa intravedere. Ma è lo stesso, dio benedica il mare e l’avventura che racconta e che promette.

 

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Dove va il tempo

La danza dei dervishi di Konya, la colazione tradizionale turca, l’acqua fredda di Alaçati e la laguna con gli alberi immersi e le cicogne a Golyazi Bursa, il tempo di questa estate lo posso scandire così e quella settimana in cui sei tornato e non sapevo che eri raffreddato da tre mesi e volevo dirti che era perché erano tre mesi che non ci parlavamo e allora quando ti ho preso la faccia tra le mani e ti ho detto non torni a Londra se prima non guarisci e lo sapevo che le mie parole non contavano nulla però mi hai lasciato tenere le mie mani sul tuo viso e non so dire se eri più sorpreso tu dal mio gesto o io dal fatto che me lo lasciassi fare. Un attimo, due attimi, tre attimi di tempo infinito in cui ti ho guardato negli occhi e ti ho rivisto piccolo, in un tempo piccolo dilato e per sempre.  E ti ho guarito con la sola imposizione delle mani, ammettilo. Va bene scherzo perché non è vero ma è anche vero.

Il caldo, quanto caldo in questo tempo, tempo che fa caldo il tempo che passa. Che brutta estate che bella estate. Ogni tempo scandito dal metronomo della paura e poi ho iniziato una nuova terapia che si chiama metronomica e allora guarda il caso ho sognato che rincorrevo il tempo mentre il tempo era fermo, l’ho proprio percepito così e ho fatto l’esperienza onirica del tempo che non è quello che passa ma che sta lì da sempre e noi lo raggiungiamo solamente. Non c’è ragione di rincorrere il tempo, tanto ci aspetta anzi lui è già lì.

 

 

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Io, il Sup e l’estate che verrà

Nel difficile passaggio da una stagione all’altra di questa fine di maggio, mi vedo durante l’estate  che sembra sfuggirmi, ma che inesorabilmente arriverà (e temo pure afosa) su un Sup. La tavola con il remo che spesso vediamo al mare. Sono anni che ci penso ma quest’anno è come se fossi già sulla mia tavola con il mio remo mentre scivolo sulle acque bianche. Ieratica e irraggiungibile. Va bene dai, più o meno.

Devo superare solo qualche piccolo ostacolo. Sono freddolosa  e se non arriva il caldo torrido, col cavolo proprio che affronto la traversata, poi al sole, teoricamente, ci potrei stare fino alle 10 del mattino, ma prima l’acqua è gelida o dopo le 17, ma  potrebbe essere meno caldo e quindi meno piacevole per il mio discutibile sistema termico. Ma poiché penso al Sup come alternativa alla passeggiata sulla spiaggia che di solito finisco in metà mattinata, con il cappello, gli occhiali e semi vestita, potrei fare lo stesso, sfruttare le ore in cui è più caldo e affrontare la navigazione e le relative cadute dalla tavola, con il cappello e un vestito leggero, così sembrerei ieratica, irraggiungibile e cretina. Ma pazienza, non si può avere tutto. Prometto di rinunciare agli occhiali. Immagino che andare  sul Sup sia come fare  una passeggiata migliorata e stereofonica, in piedi sull’acqua come Gesù e pure lontana da tutti. Ma naturalmente non essendo io una surfista l’acqua deve pure essere calma. Insomma un sacco di problemi tra cui il peso che mi dovrei caricare per portarlo in spiaggia. Lo so che una persona ragionevole dovrebbe lasciar perdere, quindi  lo prenderò.

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