Siccome vorrei proprio saltare  le retoriche celebrazioni  dell’8 marzo (che sono passate dal somigliare a quelle della festa della mamma a quelle della commemorazione dei morti) mi è venuto in mente che una di quelle cose in cui vorrei essere brava, è imparare a distinguere e se possibile mettere in pratica, la differenza che c’è tra labor e opus. Se il labor è fatica,  l’opus è l’impegno nella realizzazione di un’opera creativa, è quelle che dovrebbe essere il lavoro quando il lavoro è il lavoro perfetto. Non lo è quasi mai però, quindi per realizzare questa circostanza occorre ingegnarsi, magari capire cosa esattamente farebbe al caso nostro. Credo somigli vagamente alla contrapposizione sempre dei latini tra otium e negotium (e comunque doveva essere bello vivere in una società dove chi non faceva nulla non era considerato un nullafacente ma qualcuno che poteva preoccuparsi di cose più importanti). Non lo so se il lavoro nobilita l’uomo (come infatti era scritto ad Auschwitz), credo che ci inventiamo e siamo capaci anche di convincerci delle cose più incredibili per dare un senso a quello che  facciamo. Ma il più delle volte un senso non c’è.

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