(…) Omer respinge le avances di una donna bella e gentile (che nessuno respingerebbe nel mondo reale) dicendole: Mi dispiace, io amo tanto Defne, quando sono con lei riesco a respirare.

Ai detrattori del feuilleton io dico: avete ragione, ma non mi interessate. In un mondo giusto queste sono le parole da rivolgere all’amata in sua assenza.

Amarla dà un senso alla mia vita, aggiunge Omer. Se il mondo giusto è quello del feuilleton, basta trasferirsi lì. Almeno per un po’.

Nelle serie turche l’integrità del protagonista è un dogma, il protagonista può uccidere 40 persone a puntata, troveranno sempre un modo per convincervi che era dalla parte della ragione, può essere a capo di un commando che alla fine della serie avrà totalizzato 400 vittime morte ammazzate, ma non guarderà mai un’altra donna.

Se non fosse un genere tragico, sarebbe comico, lo so.

Ma la storia di Omer e Defne non è del genere tragico, è il genere commedia delle serie turche, conta la ripetitività dell’azione che permette di affezionarvi ai protagonisti fino all’identificazione, conta la vittoria dell’anima bella su ogni manipolazione.

In Kirali Ask c’è anche un tentativo di riferimento bibliografico, un lettore modello su cui fa affidamento Omer che ha nella sua biblioteca e che cita spesso: Lettere a Milena di Kafka, la Recherche di Proust (La fuggitiva in particolare) e Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen.

Probabilmente una necessità degli sceneggiatori di posizionarsi un po’ più in alto, visto il grande successo della serie.

Ho cercato Lettere a Milena, che non conoscevo, e le ho portate con me a Cefalonia, sul Kindle per viaggiare leggera, ero rimasta ferma alle Metamorfosi, una lettura dell’adolescenza dalla quale sembrava non si potesse prescindere, credo che fino a un certo della mia vita io abbia letto tutto quello che si doveva leggere, ora leggo solo quello che voglio, non che prima non mi sia divertita leggendo, molti dei libri che dovevo leggere erano anche molto belli, ma non tutti, ora ignoro del tutto quello che si deve.

Nel processo di semplificazione che ho scoperto essere l’esistenza, abbandonare le costrizioni inflittemi, tutto quello che mi sembrava necessario, è stata una esperienza salvifica, non semplice ma salvifica.

Essere su quest’isola è una esperienza salvifica, non semplice ma salvifica.

A fine giugno il canto delle cicale è esploso come fosse stato acceso con un interruttore, la notte si alternano i grilli, dormo con le finestre aperte, la luce rosa del mattino spinge dove fa più male, come la bellezza che commuove; sono parte di questa bellezza.

“Di quanto ricordo, di quanto so e ho saputo, di tutte le cose smarrite, è meglio che non mi chiediate niente”. (…)

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