Questo è un post sulla gratitudine e lo yoga (i cinici e i disillusi possono saltarlo senza remore).
La prima volta che ho sentito l’effetto di un cambiamento facendo yoga è stato facendo gomukhasana, quando sono riuscita ad agganciare con forza la mano sinistra in alto con la mano destra che la cercava dal basso. Non è un’asana tra le più difficili e sapevo di dover fare come potevo, ma incontrare le dita della mano destra con la sinistra in direzione delle vertebre dorsali per me fu grandioso, come quando ti accorgi che non c’è nulla di deciso e che per quanto tu ti senta sconfitto, ce la puoi fare. Questo è un post sulla gratitudine, ma non sono così devota della pratica da immergermi profondamente in connessioni tra l’incontro della parte destra e sinistra del corpo o sull’apertura del petto e sulle implicazioni sui sentimenti o ancora di più, sull’anima però le intuisco. (I cinici e i disillusi erano stati avvertiti). In ogni caso da quel momento in poi ho capito che le ossa sono meno dure di quel che credevo e che a sostenerle ci sono i muscoli, anche loro non sono sole, che sono vive come me, come me respirano e come me si nutrono e come me cambiano e si trasformano.
Lo yoga di questi giorni è molto quieto, dovrei fare più saluti al sole e più veloci, lo so. Ma è molto quieto perché la quiete è quella che inseguo, ora.
Sono in una casetta di un’isola dello ionio, non so ancora se è un regalo di me stessa a me o una fuga, probabilmente entrambe le cose ma del resto a un certo punto si deve pure imparare a prendersi per quel che si è e portarsi da qualche parte per riconoscerlo.
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