da Gallinacciainfuga | Nov 22, 2024 | cancro al seno metastatico, Cose di Galline, Fuga, Le grandi domande, Yoga
Lo yoga insegna che nasciamo con un numero limitato di respiri e che l’unica possibilità che abbiamo per vivere di più è allungarli. L’esempio più frequente è quello della tartaruga, che vive tantissimo, emettendo circa 4-5 respiri al minuto.
Secondo questo ragionamento chi ha il fiato corto, chi è costantemente trafelato, in ansia e agitato, si accorcia la vita. Semplice buonsenso.
Sebbene nel piccolo osservatorio della mia esistenza non posso dire neppure di aver visto andar via prima gli ansiosi, a parità di anni raggiunti. Per cui mi sono fatta l’idea che il senso del principio sul quale alcune discipline insistono è che con i respiri lunghi, si vive semplicemente meglio.
Si dovrebbe vivere rallentando il respiro, non evitando i pensieri che lo accelerano, caso mai attraversandoli. Almeno questo è stata la mia soluzione, mutuata anche da quei principi, smettere ogni forma di evitamento; cercare, se possibile di raggiungere il centro delle cose, non negarle e non sfuggirle e nonostante tutto respirare lentamente, non sempre ci riesco ma almeno ho imparato a non negare, quando ho cominciato ho dovuto rileggere e reintepretare tutta la mia storia e scoprire che il ricordo, anche il ricordo, altro non è che interpretazione della realtà. La realtà ci sfugge appena ci sembra di raggiungerla, è l’isola perduta. Eppure se si vuole davvero allungare il respiro, bisogna provarci. I modi sono infiniti, ognuno trova il suo ma alla fine il senso delle cose è tutto lì: conoscere se stessi e farlo con i propri mezzi senza risparmiare sulla parte più dolorosa.
Qualche giorno fa una mia amica mi ha detto che vado sempre negli stessi posti. Una gallinaccia in fuga dove sa. Non è del tutto vero, ma in parte lo è ed è comunque il mio modo di conoscere me stessa. In ogni luogo rivisitato, vado a trovare un pezzo di me. Qualche volta verifico quella che sono stata e quella che sono, rincorro nuove cose pure nei passi già percorsi, ho bisogno di tornare ancora e ancora pur non avendo alcuna attrazione per la nostalgia. E’ che i luoghi sono simboli, pezzi sparsi che ritrovo nella composizione dello spazio che percorro per raggiungerli e finché risuonano ho bisogno di ritrovarli, è uno dei modi di allungare i miei respiri.
da Gallinacciainfuga | Ago 15, 2024 | Cose di Galline, Fuga, Le grandi domande
Ci eravamo lasciati sulla ricerca delle cose che cambiano, se si dissolvono e se conta solo l’essenza, e anche su che cosa è l’essenza, se si dissolve anche quella. Non ho trovato una risposta naturalmente, oppure è sempre la stessa. L’essenza è il viaggio, come percorri la strada, cosa lasci e cosa ti porti, cosa ti ha migliorato. Forse anche cosa ti ha peggiorato. Di tanto in tanto ritorno sulla definizione che diede Fitzgerald della vita: la vita è un processo di disgregamento, c’è una verità che provo a intuire in questa definizione. Il viaggio della vita è un processo non tanto a perdere quanto a sottrarre, ma tra il perdere e il sottrarre la linea è sottile, il viaggio più confortevole è il viaggio leggero, in cui devi portarti solo l’essenziale. Ma cosa è l’essenziale? Pochi abiti intercambiabili e che stanno bene tra di loro? Vivere con chi ci somiglia e che ci illudiamo ci appartenga? O l’essenziale come dicono i mistici, e anche Saint-Exupéry è l’amore, perché l’essenziale è invisibile agli occhi? Davvero tutto si riduce a questo? Al tramonto della vita saremo giudicati sull’amore (San Giovanni della Croce). Già ma cosa è l’amore? Di quale amore parliamo? Che vuol dire? Quanta manipolazione c’è nell’amore, quanto narcisismo, quante volte scambiamo la volontà di affermare noi stessi per il bene dell’altro? E come si fa a imparare? E ci importa poi davvero di come saremo giudicati al tramonto della vita?
Torno al principio; muoversi, andare avanti con bagaglio leggerissimo, accogliere chi viene verso di noi e sorridere a chi si allontana. Altro non c’è.
da Gallinacciainfuga | Lug 30, 2024 | Cose di Galline, Fuga, Le grandi domande
questa è l’estate della ricostruzione della mia storia attraverso la scelta di cosa tenere e cosa escludere durante la riorganizzazione di una casa in cui ho vissuto per molti anni e che negli ultimi 15 ho lentamente ignorato prima e abbandonato poi. Le ragioni poco importano, chi svuota una casa lo sa, rimescola la propria vita.
La scelta degli oggetti da tenere e da eliminare l’ho fatta in gran parte da sola, dagli oggetti più grandi e importanti agli oggetti infinitamente piccoli, certo in qualche caso sono state scelte funzionali al nuovo aspetto dell’ambiente ma soprattutto ho scelto quello che ancora risuonava con qualche aspetto di me, Così alla fine ho scelto di conservare almeno un oggetto di quello che non esiste più ma che è esistito e che posso riconoscere solo io. Ho trattenuto oggetti la cui storia è sconosciuta per tutti ma non per me. Pochi, pochissimi, grande spazio a ciò che sono diventata ma non ho davvero raso al suolo nessuna delle tante vite a cui sono sopravvissuta.
Moltissimi anni fa lessi su un manuale serio che il trasloco dopo il lutto e il divorzio era da considerare tra gli eventi più stressanti che potevano capitare a un individuo. E’ vero che il manuale non comprendeva le guerre, le stragi, le carestie ma mi sembrò ugualmente una esagerazione, però l’ho sempre tenuto a mente e in effetti negli anni mi sono spostata senza aver fatto mai davvero un trasloco e secondo modalità diverse, ed è anche vero che io ho fatto un trasloco nella mia stessa casa per cui non vale come un trasloco reale, tuttavia l’esperienza ha mosso infinite emozioni che dopo varie settimane ancora non riesco a pacificare del tutto.
Sono contenta però, non solo del risultato ma di averlo fatto, il mio viaggio dentro di me.
Non che faccia altro nella vita che non sia cercare di capire e arrivare al punto, i mille mila viaggi dentro di me, eppure questo percorso è stato una sorpresa. Tante volte mi sono chiesta dove è la me di 10, di 20 e di 30 anni fa, se ne parlo con qualcuno in genere mi sento dire: in fondo sei sempre la stessa; no. Non sono la stessa, per forza. Anche perché è costata molta fatica proseguire il viaggio, sarebbe molto triste se fossi sempre la stessa. E poi so di non esserlo. Anni fa, intorno ai 13 anni di mio figlio, mi prese una sorta di malinconia e nostalgia del bambino che non trovavo più, anche allora mi chiedevo, dove è andato il mio bambino? Sì quello, quello piccolo. Non questo qui che non conosco. Dove va tutto quello che cambia? Sì certo, lo impariamo alle medie, nulla si distrugge e tutto si trasforma, poi c’è Eraclito al primo liceo e sappiamo che tutto scorre, ma non è perdita anche quella? Ineluttabile e dolorosa ugualmente? Dove va tutto quello che cambia? Dentro di noi, direbbe un saggio, siamo il percorso fatto, siamo quello e anche altro e per altro si intende quello che siamo stati. Non lo so, non sono sicura.
Così vedendo in fila tutte le mie vite, le chiamo così, ho le mie ragioni, mi sono ricordata di Pinocchio e di tutte le sue trasformazioni che erano morti e rinascite e credo che sia proprio così che funziona, questa è l’unica spiegazione con un po’ di senso che sono riuscita a trovare, ogni passaggio è morte e rinascita, infinitamente. Senza scomodare i saggi e gli asceti. E’ la condizione umana, l’esperienza di tutti. Non a caso la sofferenza deriva dalla incapacità di accettare i cambiamenti. Averlo capito non fa meno male. L’impermanenza certo. Sono leggi universali note, ma io ancora non so dove vanno le cose che cambiano. Si dissolvono? Non contano? E cosa conta, solo l’essenza? Ma non rimane neppure quella. Ci penso un po’, poi vi dico.
da Gallinacciainfuga | Mar 23, 2023 | Fuga, Le grandi domande, vivere con il cancro al seno metastaticoo
Sono quasi certa che la nuova terapia funzioni, non potrei aver fatto il corso di sopravvivenza a Londra in 12 ore (vedi post precedente) senza riportare danni gravi, sì un po di stanchezza ma ci mancherebbe. Va bene, non lo so per certo, però secondo me un po’ è indicativo di come vanno le cose. In fondo faccio quello che facevo prima quando prendevo il femara, sì ok, di mezzo c’è stato anche l’ xgeva e qualche radioterapia, però fondamentalmente la mia terapia precedente è stata prima il tamoxifene e poi il femara, ovvero la terapia cosiddetta ormonale.
Stamattina ho fatto il prelievo da portare lunedì a Milano, di solito il prelievo è causa di malumore per me, perché il laboratorio trova sempre una buona ragione per rovinarmi la giornata, ma per oggi ho preparato il formato della richiesta così come lo gradiscono (un abuso perché il formato non conta, conta il numero, ma tant’è:..) e ho pagato uno degli esame in elenco non solvibile dall’Asl. Tutti contenti, prelievo fatto, mi mandano esito con una mail, come si fa di solito in questo secolo. Il laboratorio più vicino a casa ad esempio, pretende il ritiro. A Milano faccio il fulvestrant e mi danno il ribociclib che poi prendo per tre settimane a cui segue una settimana di pausa, quindi prelievo e ritorno a Milano per visita e terapia. Sì, potrei fare tutto più vicino a casa, ma aspetto di sapere se la terapia funziona davvero, a parte le mie sensazioni, se il dosaggio del ribociclib è quello corretto e poi nel caso, mi metterò in cerca di un’altra struttura per fare la terapia. Ma le disavventure con i centri più vicini a casa meritano un post a parte, anzi più di uno. Ho cominciato questa terapia a gennaio, il fatto è che deve funzionare il più a lungo possibile, credo che il massimo siano cinque anni, ma sono davvero poche le pazienti per le quali funziona per cinque anni. Ci sono anche quelle che nei cinque anni in cui avrebbero dovuto fare con beneficio questa terapia muoiono, naturalmente mi chiedo se io sono tra queste e per fortuna, nessuno lo sa. Ci sono anche altre terapie, ma insomma la cosa migliore sarebbe che funzionasse.
Dopo il prelievo sono andata a lezione di yoga, alle 7,40 ero davanti all’ambulatorio per i prelievi e alle 9,15 già sul mio tappetino nella sala yoga, dopo essermi cambiata e aver fatto una piccolissima colazione, riesco a essere in anticipo anche quando credo di aver fatto tardi. La mia lezione è sempre bella tosta, quindi portarla a compimento e sentirmi bene dopo è come scalare l’Everest per me e io sono grata veramente all’universo di aver messo sul mio cammino lo yoga.
da Gallinacciainfuga | Ott 21, 2022 | Cose di Galline, Cotidie, Le grandi domande
Ho contato quattro volte, ho sentito quattro volte alla radio dire: ci aspettano tempi duri. Ci aspettano tempi duri. Ci aspettano tempi duri. Ci aspettano tempi duri. L’ho sentito ripetere quattro volte in meno di due minuti. Ehi, mi sono detta, ma non sarà che mi aspettano tempi duri? Ma quindi quella volta che furono davvero duri, non conta? O siccome non erano tempi duri da ripetere quattro volte in due minuti e lo erano solo per me, non vale? Conta solo se vale per tutti? Ma tutti chi? Ah certo, l’economia, io credevo si preoccupassero del mio umore; ma erano tempi facili quindi, prima, quando le bollette non erano così care? E lo erano per chi? Per tutti?
Non devo confondere le storie personali con le tendenze economiche, certo. Non devo confondere. Ma se qualche giorno sono di buonumore lo posso dire o sono tempi duri?
In uno di questi giorni duri, da dire con il tono grave che se no si capisce che non ci credete e che per voi non sono poi tanto duri, posso dire che a me sembrano duri per quelli per cui erano duri anche prima? Posso dire che mi fa più paura la temperatura a 25 gradi a fine ottobre di Berlusconi, Meloni e Salvini e pure sull’espressione da madonnina infilzata della Serrachiani e del tono serioso e preoccupato di Letta avrei molto da dire, che poi alla fine decido io e so io se e quando sono tempi duri e comunque non ci credo proprio che possono essere peggio di certi altri giorni duri che non siete neppure tenuti a sapere come sono. Perché poi ognuno ha i suoi tempi duri.
Comunque sappiate che sono tempi duri, se nessuno ve l’ha detto sarebbe ora che ve lo dica, almeno 4 volte in due minuti, se no c’è il rischio che non capiate e fate come quelli del Titanic, altra metafora da ripetere 4 volte in due minuti. Sono tempi duri is the new resilienza. L’ho già detto che sono tempi duri? Se poi avete problemi, drammi che vi affliggono, quella disperazione che vi portate dietro da sempre, quel dolore insopprimibile come il vostro conto corrente inesorabilmente in rosso, non sentitevi soli, siete al passo coi tempi, prima eravate soli, ora sono tempi duri per tutti, pare.
da Gallinacciainfuga | Lug 15, 2021 | Cose di Galline, Fuga, Le grandi domande, Nomi cose città, Yoga
Se dovessi raccontare cosa mi ha colpito della mia isola, direi senz’altro il profumo. Il profumo che si rincorre e si alterna, quello di giugno quando prevaleva la rosa e la zagara e poi forte il gelsomino, quello di ora; il mirto e poi l’origano e poi il finocchietto e poi, improvviso, il gelsomino.
Tra giugno e luglio la differenza è quella che intercorre tra due stagioni, non c’è molta gente e questo rende tutto rarefatto. Da qualche giorno viene una tortora a osservarmi, se fossimo di più non oserebbe, credo. Capisco perché la signora Durrell portò i suoi figli in un’isola dello ionio, a Corfù, lei e i suoi bellissimi figli.
Capisco che uno di loro sia diventato un importante naturalista, oltre che scrittore, lo capisco profondamente anzi lo ammetto: Una famiglia e altri animali è uno di quei libri che mi ha ispirata e portata fin qui, non troppo lontano da casa, ma altrove. Io lo chiamo il mio ritorno a casa da espatriata. Dimensione che mi segue anche a casa. Poi ho un altro ricordo, dal film Il Danno; Jeremy Irons con le buste della spesa che torna a casa, dopo Il Danno senza speranza di redenzione, che ha causato. Non si capisce dove è, ma si capisce che si tratta di un’isola greca.
Non credo di aver causato alcun danno, tranne che a me stessa (come la maggior parte degli esseri umani) ma davvero, credo che entrambi questi riferimenti mi abbiano ispirata e ora sono qui, su un’isola che fa i conti con la mancanza di turismo, gli aerei e le vacanze che vengono cancellate, la natura si allarga, prende più spazio, gli abitanti non sembrano contenti. C’è più gente che a giugno, ma sempre poca gente, dicono. Per me che non cerco mondanità, va benissimo però ho anche io la percezione di un’isola e di una capacità di accoglienza sovradimensionata rispetto a chi la occupa.
Ieri ho fatto lezione di Yoga con un gruppo di ragazze – signore di Sami, erano giorni che mi appostavo davanti al cortile della scuola in cui le vedevo praticare. In un altro momento avrei lasciato perdere, avrei rinunciato. Invece ho aspettato e ho chiesto se potevo partecipare, così ieri sera ho fatto una bella lezione di Yoga in compagnia, con una maestra che parlava greco, ma lo yoga ha questo potere, non serve conoscere la lingua, se conosci la pratica, basta guardare e anche guardare non è del tutto necessario, io capivo oreà e anche polì oreà comunque 😀
La lezione è stata intensa, una lezione di Vinyasa immersa completamente tra il verde della collina e la bandiera greca che vedevo ogni volta che alzavo lo sguardo. Che ci faccio io qui? Non lo so, ma è divertente e anche incredibile.
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