da Gallinacciainfuga | Ago 10, 2021 | Cose di Galline, Fuga, Nomi cose città
Partecipo e assisto, impossibile sottrarsi, allo storytelling sulla Puglia, un po’ compiaciuta e un po’ stupita; a volte mi sento raccontata come il resto del mondo raccontava “le americhe” scoperte da Cristoforo Colombo. Colombo aveva scoperto l’America, ma l’America c’era anche prima e con l’America i suoi abitanti, no? Gli abitanti dell’America, l’America l’avevano già scoperta, vero? Si può dire che hanno dovuto subire il racconto degli invasori?
Facendo le debite proporzioni (non ci sono invasori, ma turisti che aiutano la nostra economia) non è un po’ stucchevole la retorica sulla magia della Puglia? La Puglia è Brand che tira, tira moltissimo, lo abbiamo capito, perché il suo paesaggio lo rende possibile, perché il cibo è buono, perché l’architettura spontanea la rende naïve e stupefacente, (se non si sposta troppo lo sguardo, se si guarda fissi un punto, perché c’è anche tanta, tanta bruttezza), la Puglia è tutto questo, nessuno lo vuole negare, ma sta diventando difficile convivere con la Puglia da cartolina, perché è anche molto altro, ad esempio molta parte dell’industria turistica è in mano alla criminalità, lo sappiamo noi nativi delle americhe, ma partecipiamo alla nascita e alla crescita del luogo comune di terra mmmmeravigliosa, anche il concetto di Puglia deriva dalla recente operazione di brandizzazione: perché terra di Bari, terra d’Otranto e Capitanata erano e in larga parte sono, 3 luoghi diversi, infatti si parlava di Puglie, adesso che la Puglia è di moda, i fuori sede “scendono in PPPuglia”, con tre P, come se esistesse, come se non fosse, un giusto, ben riuscito, prodotto del marketing dell’Apulia Film Commission.
da Gallinacciainfuga | Lug 15, 2021 | Cose di Galline, Fuga, Le grandi domande, Nomi cose città, Yoga
Se dovessi raccontare cosa mi ha colpito della mia isola, direi senz’altro il profumo. Il profumo che si rincorre e si alterna, quello di giugno quando prevaleva la rosa e la zagara e poi forte il gelsomino, quello di ora; il mirto e poi l’origano e poi il finocchietto e poi, improvviso, il gelsomino.
Tra giugno e luglio la differenza è quella che intercorre tra due stagioni, non c’è molta gente e questo rende tutto rarefatto. Da qualche giorno viene una tortora a osservarmi, se fossimo di più non oserebbe, credo. Capisco perché la signora Durrell portò i suoi figli in un’isola dello ionio, a Corfù, lei e i suoi bellissimi figli.
Capisco che uno di loro sia diventato un importante naturalista, oltre che scrittore, lo capisco profondamente anzi lo ammetto: Una famiglia e altri animali è uno di quei libri che mi ha ispirata e portata fin qui, non troppo lontano da casa, ma altrove. Io lo chiamo il mio ritorno a casa da espatriata. Dimensione che mi segue anche a casa. Poi ho un altro ricordo, dal film Il Danno; Jeremy Irons con le buste della spesa che torna a casa, dopo Il Danno senza speranza di redenzione, che ha causato. Non si capisce dove è, ma si capisce che si tratta di un’isola greca.
Non credo di aver causato alcun danno, tranne che a me stessa (come la maggior parte degli esseri umani) ma davvero, credo che entrambi questi riferimenti mi abbiano ispirata e ora sono qui, su un’isola che fa i conti con la mancanza di turismo, gli aerei e le vacanze che vengono cancellate, la natura si allarga, prende più spazio, gli abitanti non sembrano contenti. C’è più gente che a giugno, ma sempre poca gente, dicono. Per me che non cerco mondanità, va benissimo però ho anche io la percezione di un’isola e di una capacità di accoglienza sovradimensionata rispetto a chi la occupa.
Ieri ho fatto lezione di Yoga con un gruppo di ragazze – signore di Sami, erano giorni che mi appostavo davanti al cortile della scuola in cui le vedevo praticare. In un altro momento avrei lasciato perdere, avrei rinunciato. Invece ho aspettato e ho chiesto se potevo partecipare, così ieri sera ho fatto una bella lezione di Yoga in compagnia, con una maestra che parlava greco, ma lo yoga ha questo potere, non serve conoscere la lingua, se conosci la pratica, basta guardare e anche guardare non è del tutto necessario, io capivo oreà e anche polì oreà comunque 😀
La lezione è stata intensa, una lezione di Vinyasa immersa completamente tra il verde della collina e la bandiera greca che vedevo ogni volta che alzavo lo sguardo. Che ci faccio io qui? Non lo so, ma è divertente e anche incredibile.
da Gallinacciainfuga | Lug 2, 2021 | Fuga, Le grandi domande
Le sirene che attirano su un’isola derivano da suggestioni letterarie? I Viaggi di Gulliver e l’Odissea, Robinson Crusoe, e poi il naufragio, la solitudine, la sopravvivenza in solitudine, la guerra con gli elementi? Gli incontri spaventosi con gli isolani quando l’isola non è deserta?
Suggestioni letterarie e anche cinematografiche, persino Lost e tutte le sue stagioni racconta il disastro, il riadattamento, il nuovo corso e la lotta per sopravvivere contro tutti i mostri dell’isola, quelli che si manifestano e quelli che rimangono nascosti. L’isola è sempre metafora del viaggio dentro di sé e della lontananza, chi non è raggiungibile si dice che è isolato, chi vuole stare da solo si dice che si isola, chi cerca qualcosa che non troverà, cerca l’isola che non c’è. Utòpia, la città ideale di Francis Bacon è un’isola, Atlantide viene descritta da Platone come un sistema di cerchi concentrici ognuno dei quali, è un’isola collegata da canali che compongono la grande isola.
Hugh Grant in About a boy, dice che che la frase di Jon Bon Jovi, ovvero che nessun uomo è un’isola: “E’ una frase del cazzo: certi uomini sono isole. Io sono un’isola del cazzo, sono quella cazzo di Ibiza”, diceva lui. Quindi si potrebbe inventare un gioco per l’estate: tu quale isola sei? Ibiza io, proprio no.
Dalla mia isola vedo Itaca ogni volta che alzo lo sguardo e ogni volta penso: ma davvero qui ha navigato Ulisse? No, lo sai benissimo che è un mito e che probabilmente neppure Omero, anzi quasi certamente, è mai esistito, figuriamoci Ulisse, Penelope o Argo.
Però non posso fare a meno di pensare, dalla mia isola, che prima o poi si materializzerà un eroe o anche solo un semidio, una ninfa leggiadra, oppure una Venere dalla spuma del mare in un giorno di vento e continuo a guardare.
da Gallinacciainfuga | Giu 18, 2021 | Fuga, Yoga

Questo è un post sulla gratitudine e lo yoga (i cinici e i disillusi possono saltarlo senza remore).
La prima volta che ho sentito l’effetto di un cambiamento facendo yoga è stato facendo gomukhasana, quando sono riuscita ad agganciare con forza la mano sinistra in alto con la mano destra che la cercava dal basso. Non è un’asana tra le più difficili e sapevo di dover fare come potevo, ma incontrare le dita della mano destra con la sinistra in direzione delle vertebre dorsali per me fu grandioso, come quando ti accorgi che non c’è nulla di deciso e che per quanto tu ti senta sconfitto, ce la puoi fare. Questo è un post sulla gratitudine, ma non sono così devota della pratica da immergermi profondamente in connessioni tra l’incontro della parte destra e sinistra del corpo o sull’apertura del petto e sulle implicazioni sui sentimenti o ancora di più, sull’anima però le intuisco. (I cinici e i disillusi erano stati avvertiti). In ogni caso da quel momento in poi ho capito che le ossa sono meno dure di quel che credevo e che a sostenerle ci sono i muscoli, anche loro non sono sole, che sono vive come me, come me respirano e come me si nutrono e come me cambiano e si trasformano.
Lo yoga di questi giorni è molto quieto, dovrei fare più saluti al sole e più veloci, lo so. Ma è molto quieto perché la quiete è quella che inseguo, ora.
Sono in una casetta di un’isola dello ionio, non so ancora se è un regalo di me stessa a me o una fuga, probabilmente entrambe le cose ma del resto a un certo punto si deve pure imparare a prendersi per quel che si è e portarsi da qualche parte per riconoscerlo.
da Gallinacciainfuga | Giu 10, 2021 | Cose di Galline
Ho finito di leggere Yoga di Emmanuel Carrère, tanta gente sta leggendo Yoga in questi giorni, vedo scorrere le copertine dalle foto ogni volta che apro Facebook o Instagram, di solito non leggo mai le recensioni prima di leggere i libri che ho deciso di leggere, però mi è capitato di guardare quello che hanno scritto Parente e Guia Soncini, non mi sono preoccupata di quello che scrivevano, non mi preoccupa non essere d’accordo con loro, mi sarebbe dispiaciuto di più leggere qualche commento negativo di qualcuno alla cui opinione tengo. La Soncini e Parente dicevano cose sovrapponibili: è un concentrato di banalità che neppure la meno scaltra delle influencer, cose su questo tono. Lo hanno trattato, mi pare, come se davvero fosse un libro sullo Yoga. Forse hanno letto le prime 30 pagine o forse parlare male di uno scrittore che vende tanto per il solo fatto che parla della sua vita, oltre ad essere irritante, in effetti può risultare tale, è una specie di obbligo.
A me Carrère piace, neppure sarei capace di spiegare il perché, però ha cominciato a piacermi quando ho letto L’Avversario che è ancora uno dei libri a cui penso spesso, non sono tanti i libri a cui penso o che semplicemente ricordo, di solito mi oriento così, se un libro mi è piaciuto, lo ricordo, se un libro mi è piaciuto e lo ricordo pure, allora deve essere un bel libro. A me capita di leggere libri che mi piacciono mentre li leggo, ma poi quando cerco di ricordarne qualche dettaglio mi accorgo che non lo ricordo, la prima volta mi è successo con L’Insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera, prima di allora c’erano i libri che mi erano piaciuti e quelli che non mi erano piaciuti, da quel momento in poi ci sono stati i libri che mi sono piaciuti ma che non ricordo.
I libri di Carrère mi sono piaciuti tutti, forse L’Avversario e Limonov di più. Ma in generale mi sono piaciuti tutti e non voglio parlare di lui con i suoi detrattori, capisco le loro ragioni, ma non mi interessano, non c’è nulla di quello che scrive che non condivido, forse sì. Forse su questo qualcosa c’è, ma è davvero un dettaglio.
IL libro di Carrère parla di quello che è successo a Carrère mentre aveva in mente di scrivere un libro che lui stesso definisce, accattivante, sullo Yoga. Torna spesso sulla questione e anche sul fatto che un libro con quel titolo avrebbe venduto molto, come in effetti credo stia accadendo, ma io non l’ho comprato per il titolo, anche se anche io vorrei scrivere un libro accattivante sullo yoga. Poi c’è di mezzo la causa con la ex moglie che lo ha accusato di aver infranto la promessa di non parlare della loro vita, promessa se non sbaglio fatto sotto forma di accordo legale, non riesco a solidarizzare con lei però, perché Carrère se non racconta le vite degli altri, racconta la sua vita, come fosse lui stesso un genere a parte. Però ho trovato divertente che la ex moglie abbia specificato che non dice neppure la verità quando dice di parlare di sé stesso, a Leros ad esempio, Carrère non sarebbe stato due mesi per fare volontariato in un centro di raccolta di immigrati, ma un fine settimana. Veramente ha poca importanza credo, ma capisco che la ex moglie abbia voluto in qualche modo, sminuirlo.
Ora questo post in cui dovrei parlare del libro di Carrère, è scritto come un libro di Carrère, ovvero non parla di quel che promette. Quello che dice Carrère sullo Yoga è trascurabile, perché condivisibile da chiunque pratichi Yoga, può irritare solo, anche se sono tanti, quelli che considerano lo yoga un passatempo à la page per signorine e signore un po’ annoiate, non importa, ognuno si tenga i propri pregiudizi, io vorrei parlare del libro di Carrère e del perché mi è piaciuto.
Saltando la parte in cui parla della meditazione, del suo incompiuto ritiro di meditazione Vipassana, che fa corrispondere al momento della sua vita in cui ancora tutto andava bene, l’intuizione del libro è esattamente l’opposto di quella dichiarata volendo parlare di Yoga, il cui significato della parola, detto brevemente ma proprio brevemente è: unione. Invece tutte le parole di Carrère portano a questa espressione: La vita è uno strumento congegnato per separare. Altro che unione. Fitzgerald invece diceva, lo riporta Carrère, che la vita è un processo di disgregamento. Poi rispetto al lavoro cinematografico e letterario cita Truffault; un film è un processo di perdita, in cui quello che conta è il saldo tra quello che avevi previsto e quello che è venuto. Se il saldo si avvicina a quello che avevi in mente, vuol dire che hai fatto un buon lavoro.
Ci sarebbe da chiedersi quanto era lontano il progetto di Carrère dal risultato e se si è reso conto che ci ha dato le chiavi per giudicarlo, credo di sì, che se ne sia resoconto.
Il libro ha anche un lieto fine, ma ce l’ha proprio voluto dare, come se ce lo fossimo meritati un lieto fine. Mi auguro che quella parte sia autobiografica e che sia ancora a Maiorca con l’insegnante di Yoga come quel giorno in cui si sentiva pienamente vivo. Perché se quello del libro non deve essere un finale particolarmente brillante o originale, almeno che qualcuno, infine, sia felice.
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