addio alla Coop

Dopo la lezione di yoga, sono andata al supermercato vicino casa, l’intento era  prendere la lattuga e le pere. Ma siccome poi ho visto il cipollotto fresco, ho pensato ne prendo un po’ e faccio i cipollotti gratinati. Ho preso anche qualcos’altro e poi  mi sono avviata alla cassa. Le cassiere del supermercato sotto casa, come quelle di tutti i supermercati credo, non sono tutte simpatiche ma io per fortuna ho scelto di fare la fila da una di quelle più gentili. Mentre ero in coda ho ascoltato un messaggio che mi ha un po’ innervosita e mentre lo ascoltavo pensavo che in genere mi innervosiscono le persone in coda alla cassa che trafficano con il telefono e che io finisco sempre col fare cose che mi innervosiscono se le fanno gli altri, pensiero che è servito a farmi innervosire ulteriormente. Comunque è arrivato il mio turno, ho messo i miei oggetti sul nastro, ho tirato fuori dei soldi che avevo messo in fretta in tasca prima di uscire e mentre mi accingevo a pagare, la cassiera mi ha chiesto quanti pezzi di cipollotto avessi preso. Come quanti pezzi?  Sì il prezzo è al pezzo. Ah scusa, le ho detto,  ho visto che c’era il codice e ho pensato fosse al kg. Mi ha guardato come si guarda una mentecatta, ancora non aveva deciso se ci stavo provando e ero particolarmente svampita, quando poi tirando i soldi dalla tasca le ho detto guarda ho solo questi, sono uscita senza borsa per andare a Yoga, mi ha guardato decidendo che  oltre a provarci ero pure scema e le stavo facendo perdere tempo e pazienza. Comunque mortificata e facendole togliere uno dei famosi pezzi di cipollotto visto che i soldi non mi bastavano, ho pagato e sono sparita velocemente. Avviandomi verso l’uscita, ho visto una delle commesse venire verso di me, mentre la cassiera di prima, insieme agli altri cassieri, mi guardava. La commessa mi ha detto: guardi signora non può portare fuori il carrellino. A quel punto, sopraffatta dagli sguardi perplessi, ho farfugliato qualcosa sapendo che non avrebbe creduto al fatto che io non intendevo portare via il carrellino e che semplicemente non me ne ero resa conto,  sono uscita velocemente. Pensando che in quel supermercato non potrò tornarci mai più e che è un vero peccato perché è proprio sotto casa  e quindi molto comodo. Comunque da domani Numeri Primi o Famila, non posso tornare alla Coop.

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il filtro da tè

uno dei primi oggetti che ho comprato a Bologna, mille anni fa, è stato il filtro da tè in midollino, in un negozio naturalmente scomparso, che si chiamava il Cestaio e che a me piaceva un sacco. Per quale ragione io abbia conservato un simile oggetto così inutile per me che bevo il tè solo se ci sono zero gradi e che negli anni ho collezionato filtri da tè di cui nel frattempo mi sono fieramente disfatta,  stento a capirlo, ma oggi mi ci sono soffermata: che fai qui filtro da tè orientale, perché continui a inseguirmi? Io butto tutti gli oggetti lo sai, me li scordo, me ne disfo, me ne libero, perché resisti?

Il mio filtro da tè in midollino resta di lì e parla di me.

Mi hai voluto perché ti piaceva la parola midollino, delicata e sofisticata, quanto eri spocchiosa, e si vede che quella parte di te ancora sopravvive. Caro filtro in midollino, sapessi quanti oggetti sofisticati e delicati mi sono passati tra le mani, li ho dimenticati e mai rimpianti, perché tu no?

Perché hai sempre considerato importanti le cose inutili, io ero come un cimelio dalla vita che avevi davanti, una promessa esotica, un filtro da tè orientale, un altrove che ti riportava a quella te in cui tutto era promessa.

Non mi convinci filtro da tè in midollino, continuo a considerare importanti solo le cose inutili che per me e solo per me, sono  essenziali, ho avuto tanti oggetti che rappresentavano un altrove ma solo tu resisti, perché?

Perché non hai ancora disperso quella spinta di mondo evocato che ti ha fatto decidere di prendermi con te, non è me che conservi, ma lo sguardo della ragazza che lo scelsero.

Forse, adesso ci penso su e ti faccio sapere.

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io sono da solo e gli altri sono tutti

Non so se succede solo a me, ma l’estate afosa come quella passata mi ha offerto spunti e giustificazioni per protrarre la mia poca voglia di socializzare. In effetti l’idea di attraversare borghi affollati in cerca di strapuntini e di risse per guadagnare un bicchiere mi uccide anche a settembre. Così come il chiacchiericcio fasullo e di circostanza a cui però, una volta che ci sei, non puoi sottrarti.  Se ci aggiungi il caldo spesso, la sensazione di vivere in un bagno turco senza uscita nel quale devi pure sforzarti di avere l’aria di goderti la vita, mi avvilisco e resto a casa con le infradito e il vestitino minuscolo con le bretelline, che tanto non mi vede nessuno. La meravigliosa estate in Puglia, vabbè.

Ma poi l’estate passa e non ci sono più scuse ed è come uscire dall’adolescenza in cui eri assolutamente certo di essere tu da solo mentre gli altri sono tutti. La definizione della sensazione è di Dostoevskij ovviamente, non la mia. Ma siccome non vogliamo mantenerci così alti, un’altra sensazione che mi viene in mente in momenti simili  è quella di Bridget Jones: ecco lo sapevo, tutti si divertono tranne me. Piano piano, poi e con il tempo, tanto tempo, ci si rende conto che noi siamo tutti e che in effetti nessuno diverte. Arriva il maledetto settembre, devi uscire, muoverti e partire e devi avere dei piani sensazionali per essere tutti, ah ma questa volta forse ce li ho.

 

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la stufa in ghisa verde

Di una cosa possiamo essere certi, uno degli effetti del riscaldamento globale è la maggiore presenza di luce, quella che dovrebbe influire sull’umore, quella che quando cede alle ombre ci rende tutti più malinconici e non è che un effetto sulla mancanza di stimolazione della serotonina, insomma questo è più o meno quello che ho capito. Quindi questo autunno catastrofico per la mancanza di acqua e la quantità di sole dovrebbe renderci tutti più contenti.

Capita invece di svegliarsi inondati dalla luce e provare un senso di fastidio. Come quando qualcuno ride per qualcosa che a voi non strappa neppure un sorriso e tu lo guardi male e pensi: ma che avrai da ridere, scemo?

Siccome è lunedì e uno dei miei propositi è cominciare bene la settima, facendo cose tipo la meditazione che però aspetta settimana dopo settimana, perché superato l’ostacolo del lunedì, dal martedì in poi posso sempre dirmi che se ne parla il prossimo lunedì, insomma superato il fatto che anche questo lunedì non se ne parla, ora, meditazione o no, cerco di capire perché il sole sembra che mi sfotta, perché vorrei meno luce, un po’ di pioggerellina almeno che accompagni la mia mestizia e mi assolva dalla poca voglia che ho di dire: ooooh, ma che bella giornata!

Perché quell’aria triste? Non va tutto bene? NO

Allora penso alla mia idea di felicità, che non è una carta di credito con plafond illimitato che mi consenta di viaggiare inseguendo il sole senza neppure preoccuparmi del bagaglio (per quanto…) ma una stufa in ghisa verde scuro davanti alla quale riscaldarmi leggendo sulla poltrona comoda così comoda da non farmi neppure ricordare che ho delle ossa mentre guardo la brughiera, allora: cosa ci faccio su una poltrona davanti a una stufa in ghisa se fuori c’è il sole?

Ma la spiaggia, il sale sulla pelle, camminare sulla sabbia, non è anche quella la tua idea di felicità? Sì ma a me piace il mediterraneo e quelle cose si fanno in estate nel mediterraneo e poi basta ora è tempo di tristezza, spegnete questo sole che ha scocciato

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Tempi duri

Ho contato quattro volte, ho sentito quattro volte alla radio dire: ci aspettano tempi duri. Ci aspettano tempi duri. Ci aspettano tempi duri. Ci aspettano tempi duri. L’ho sentito ripetere quattro volte in meno di due minuti. Ehi, mi sono detta, ma non sarà che mi aspettano tempi duri? Ma quindi quella volta che furono davvero duri, non conta? O siccome non erano tempi duri da ripetere quattro volte in due minuti e lo erano solo per me, non vale? Conta solo se vale per tutti? Ma tutti chi? Ah certo, l’economia, io credevo si preoccupassero del mio umore; ma erano tempi facili quindi, prima, quando le bollette non erano così care? E lo erano per chi? Per tutti?

Non devo confondere le storie personali con le tendenze economiche, certo. Non devo confondere. Ma se qualche giorno sono di buonumore lo posso dire o sono tempi duri?

In uno di questi giorni duri, da dire con il tono grave che se no si capisce che non ci credete e che per voi non sono poi tanto duri, posso dire che a me sembrano duri per quelli per cui erano duri anche prima? Posso dire che mi fa più paura la temperatura a 25 gradi a fine ottobre  di Berlusconi, Meloni e Salvini e pure sull’espressione da madonnina infilzata della Serrachiani  e  del tono serioso e preoccupato di Letta avrei molto da dire, che poi alla fine decido io e so io se e quando sono tempi duri e comunque non ci credo proprio che possono essere peggio di certi altri giorni duri che non siete neppure tenuti a sapere  come sono. Perché poi ognuno ha i suoi tempi duri.

Comunque sappiate che sono tempi duri, se nessuno ve l’ha detto sarebbe ora che ve lo dica, almeno 4 volte in due minuti, se no c’è il rischio che non capiate e fate come quelli del Titanic, altra metafora da ripetere 4 volte in due minuti. Sono tempi duri is the new resilienza. L’ho già detto che sono tempi duri? Se poi avete problemi, drammi che vi affliggono, quella disperazione che vi portate dietro da sempre, quel dolore insopprimibile come il vostro conto corrente inesorabilmente in rosso, non sentitevi soli, siete al passo coi tempi, prima eravate soli, ora sono tempi duri per tutti, pare.

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la spesa di oggi

Stamattina sono andata da Lidl, da cui ho sviluppato una dipendenza in questa mesi di confinamento, tutto è cominciato seguendo un gruppo di facebook di alimentazione per pazienti oncologici, una delle partecipanti,  lamentava il fatto di aver speso per un pezzo di pecorino una cifra da urlo, la nutrizionista, bravissima,  che ora ci guida da Miami dove nel frattempo si è trasferita e che non è neppure una grande sostenitrice del biologico, la sgridò dicendole che non c’era assolutamente bisogno di svenarsi per mangiare bene e che lei stessa anche da Lidl aveva trovato dei pecorini buonissimi. Così, fatto un rapido calcolo delle cifre folli che spendevo per mangiare, sono entrata in punta di piedi nel tunnel di Lidl, ho imparato a leggere bene le etichette, ho smesso di frequentare Natura Sì e sviluppato la mia  nuova dipendenza.

Avendo anche un supermercato sotto casa, per fortuna non ci vado proprio tutte le settimane e non compro proprio tutto da lì, però mi sono iscritta a un gruppo di Facebook di recensioni di prodotti in vendita da Lidl, quindi sono aggiornatissima. Il problema è che non compro solo roba da mangiare, per cui ho la casa piena di prodotti  imperdibili, convenienti e inutili. Sono il segmento di consumo che il marchio insegue: ti convinco con qualche prodotto poi però tu non smetti e so io come non farti smettere, va bene ci sto; del resto questi mesi in qualche modo bisogna passarli.

Stamattina  al banchetto di esposizione di fiori c’erano delle piantine in sottovasi a forma di animale, io ho scelto la gallina, naturalmente, e ho preso anche due mazzi di tulipani gialli, perché sto vedendo una serie in cui lui, il mio eroe, torna a casa con un mazzo di tulipani gialli, li ho presi anche perché non ricordo più esattamente da quando non ricevo un mazzo di fiori e rivendicarlo per ottenerli non farebbe lo stesso effetto. Li ho incastrati nella parte superiore del carrello, quella in cui non si dovrebbero mettere i bambini. Così una signora  dopo l’altra (solo le signore, perché?) mi ha chiesto dove avrebbe potuto trovarli e io glieli ho indicati, ce ne erano tanti. Fino a quando non ho incontrato una signora che mi ha fermata per consigliarmi di prenderne  mazzi in cui il tulipano è più chiuso perché ci mettono poco a piegarsi altrimenti e allora io sono andata a cambiarli ma non ce n’erano più gialli, mi sarei tenuta i miei se non fosse che non volevo dispiacere la signora perché sapevo che l’avrei rincontrata (e infatti così è stato), le avevo detto che li avrei cambiati e quindi ho preso quelli bianchi e quelli bianchi e rosa perché mi sono ricordata di un meraviglioso mazzo di tulipani bianchi ricevuti un giorno (e per i quali vorrei ringraziare G., per i tulipani  e per tante altre cose di cui so che non avrò mai modo di ringraziarlo ma che lui sa). Comunque vicino al banco dei fiori c’era una signora che guardava avidamente le piantine con i sottovasi a forma di animale. Sono carine vero?, le ho detto, lei mi ha risposto: Sì, sono carine ma costano 3.90 e ha taciuto ma io ho capito cosa voleva dire. Sono 3.90 per qualcosa di inutile che vorrei io ma per la quale quando torno a casa sarò rimproverata. Normalmente sono una specie di essere asociale e a tratti sociopatico specie in un ambiente come un supermercato, eppure la signora era così tenera che le ho detto: non rinunci signora, sono allegre, è Pasqua, le faranno compagnia. La signora si è illuminata e mi ha detto: mi aiuti a sceglierne una bella come lei. Mi ha detto proprio così e proprio è stata gentile perché io avevo i capelli da strega e i postumi di una settimana non delle migliori, a parte la mascherina che infatti oggi ho indossato volentieri per coprirmi. L’ho scelta con cura e gliel’ho data, mi ha sorriso e io le ho sorriso e le ho augurato Buona Pasqua e poi un’altra signora mi ha chiesto se preferivo il coniglio o la gallina e no signora, la gallina è più bella e tutto questo per dire che Lidl Bari dovrebbe almeno regalarmi un mazzo di tulipani gialli, la prossima volta.

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