Se l’Irlanda ha saputo aspettarmi

Non sono mai stata in Irlanda, l’ho sfiorata, una volta l’ho proprio sfiorata, ho comprato la guida e me la sono letta, ho incominciato a pensarci e a conoscerla prima di arrivarci, ma poi me la sono dimenticata. Era un periodo in cui leggevo tanti autori irlandesi, no;  è stato prima degli autori irlandesi, in realtà in Irlanda ci dovevo andare con uno che poi invece si è dato. Mi aveva pure fatto leggere un libro che si chiamava “Un taxi color Malva” per dimostrarmi quanto amava l’Irlanda. Libro di cui non ricordo assolutamente nulla e che non mi piacque neppure granché, poi quando era più o meno il momento di andare in Irlanda se ne andò e allora in Irlanda non ci sono più voluta andare e non ci ho neppure più voluto pensare e mi dava pure un po’ fastidio il fatto che ci fosse l’Irlanda e io non ci ero andata quando ci volevo andare. Senza neppure volerlo  sono in partenza per l’Irlanda, per Dublino e Galway e pure per Belfast e l’aurora boreale e voglio pure vedere le foche. Sono inciampata nell’Irlanda, parto per l’Irlanda ma avrei preferito Creta, adesso bisogna che si faccia trovare bella l’Irlanda, mi immagino che farà pure freddo, mannaggia. Bisogna che si faccia trovare attraente, l’Irlanda. Bisogna che si ricordi di me e di quanta strada ho fatto da quella volta che dovevo andare e poi non ci sono più andata, bisogna che abbia un po’ di riconoscenza per me, l’Irlanda, e mi faccia dei complimenti e mi dica che sono stata brava e che ora sono molto meglio di quella che la doveva visitare allora,  che si accorga che ora non leggerei un libro solo per compiacere uno che dice di amare l’Irlanda. Sono abbastanza grande per l’Irlanda, bisogna solo capire se anche  l’Irlanda è abbastanza grande per me e se è stata capace di aspettarmi. Ma poi vi dirò e lo saprete.

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Nicoletta Saracco e la primavera

il 25 marzo la chiesa cattolica festeggia o ricorda (non l’ho mai capito) l’Annunciazione della nascita di Gesù a Maria, l’ho letto sul calendario e mi sono anche ricordata che in molte zone proprio in coincidenza del 25 marzo si accende il falò, simbolo (vado a spanne e senza seri riferimenti bibliografici) di rinnovamento. Si festeggia la primavera insomma e probabilmente si festeggiava attraverso la simbologia del fuoco anche prima del cristianesimo perché tutte le tradizioni legate al ciclo delle stagioni, al propiziarsi del raccolto,  sono precristiane. Anche il Natale fu sovrapposto alla festa della luce poiché intorno a quella data le giornate finalmente cominciano ad allungarsi, tutto questo per dire che ieri passeggiando in campagna ho proprio sentito forte l’arrivo della primavera intesa come rinascita, il contadino dell’azienda in cui ero in visita mi ha pure spiegato che in realtà c’è un anticipo di circa 15 giorni  sulla vegetazione. E’ confortante sapere che il ciclo di rinnovamento, il passaggio da fiori a gemme, da tralci a pampini e poi uva, si rinnova e si rinnoverà, perché le stagioni tornano, tornano sempre. Quelle belle e quelle brutte, con il cambiamento climatico, con la siccità, con quello che lasciamo indietro, ma loro tornano. Nulla finisce davvero, anche quello che si è concluso torna sotto altre forme, la ciclicità andrebbe osservata. Passano i giorni ma tornano tutti i giorni, passa la luce ma torna ogni giorno. Passiamo noi ma altri verranno. Saranno meglio di noi, peggio di noi, davvero poco importa. Siamo sì e no in grado di comprendere parte dei nostri tempi in ogni caso, figuriamoci se possiamo comprendere quello che verrà.

Oggi ho saputo della morte di Nicoletta Saracco, la ricordo in una intervista che mi colpì tanto tanto, vista casualmente perché è proprio un genere di cose che evito, ma la sua la ricordo benissimo anche se di lei negli anni non ho saputo più niente, a lei ho sempre pensato. Forse l’ho inconsciamente evitata, perché ho letto che parlava di sé sul suo profilo instagram,  era ancora molto giovane e  la vita aveva da poco, pochissimo, cominciato a girare dalla parte giusta prima di darle la sberla della malattia.  Non c’è giustizia su questa terra e sarebbe già una consolazione sapere che altrove c’è ma ci sono giornate in cui è molto difficile crederci.

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Il mio giorno di strike

Lo scorso mercoledì sono uscita presto a Londra in una mattina di sole, pensavo di prendere la metro ma poi visto il bel tempo ho cambiato i miei piani e mi sono detta: prendo il 15 e vado alla National Gallery, passo davanti alla Torre di Londra, davanti a Saint Paul, vedo il Millenium Bridge, arrivo fino a Trafalgar Square mentre sto al secondo piano dell’autobus. Mi sembrava un piano perfetto, la fermata è a pochi metri da casa di mio figlio.

Prima di uscire gli ho chiesto se c’erano scioperi. Niente, mi dice, oggi è tutto a posto. Quindi esco felice.

Sull’autobus mi accorgo che c’è più gente di quanto ricordassi, strano però, mi dico, nessuno va a lavoro con l’autobus a Londra, perché c’è traffico e non sai mai quando arrivi, va bene per me che ho tempo, ma non ci faccio caso più di tanto. E’ una bella giornata e sono serena. Neppure quando a un certo punto l’autobus si ferma e interrompe la corsa ci faccio caso, scendo con gli altri e aspetto di nuovo il 15, che dopo poco arriva e mi porta a Trafalgar Square.

La mia mattinata continua, dalla National mi sposto attraverso Pall Mall fino Regent Street, poi decido di fermarmi a mangiare gli scones, perché mi piacciono tanto, da Fortnum&Mason a Piccadilly, e poi ritorno su Regent Street,  vado da Liberty e pure da Anthropologie dove mi compro un paio di sandali di sughero con le margherite stampate e il mondo mi sembra un posto meraviglioso in cui non può succedere nulla di male. Fino a quando non decido di tornare a casa, malvolentieri, ma si sono fatte le 3 del pomeriggio e alle 5 e 45  io e mio figlio andiamo a mangiare, un orario un po’ insolito ma era l’unico disponibile per il ristorante scelto, quindi si era deciso di andarci lo stesso saltando il pranzo. Torno a casa così riposo un po’, mi dico. Ma non c’è mai niente che funziona peggio per me come il fare le cose come andrebbero fatte. Alle 3, 20 davanti a alla fermata della metro di Piccadilly Circus, mi accorgo che la stazione è chiusa, Quindi mando a mio figlio un messaggio per chiedere se è solo quella la fermata chiusa o c’è dell’altro. C’è dell’altro; mi risponde infatti che è una giornata di sciopero e che è tutto bloccato, me lo avevi pure chiesto, aggiunge. Mio figlio è un deficiente, a un certo punto bisogna fare i conti con la realtà e dirsele le cose: mio figlio è un deficiente. Bene gli dico, cosa faccio? Vai verso il fiume, mi dice. Lo giuro, mi dice proprio così, la soluzione a quel problema per lui era dirigermi verso il fiume. Non so dove mi trovo, non so chi sono, come mi chiamo e neppure cosa ci faccio qui e dovrei sapere da che parte andare per trovare il fiume? Deficiente. Mi viene in mente che potrei prendere il 15 per tornare a casa, visto che il 15 mi ha portata fino a Trafalgar Square, chiedo al deficiente qual è la fermata più vicina rispetto a dove ero, lui mi dice Embankment, con citymapper cerco Embankment ma naturalmente non c’era nessuna fermata del 15 ad Embankment quindi sono risalita verso Charing Cross dove ho trovato una fermata del 15. Intanto a Trafalgar Square era appena finita una manifestazione e ho potuto capire che lo sciopero riguardava la sanità e la scuola pubblica, centinaia di persone si sono riversate sulle strade e il traffico era paralizzato, fiumi di taxi immobili (ovviamente occupati), qualche autobus in lontananza. Intanto il tempo era cambiato, scuro e freddo, ha cominciato a piovere. Alla fermata del 15 è arrivato almeno tre volte  il 178, due volte l’11 e poi niente altro, sia il 178 che l’11 per fare 20 metri ci mettevano circa venti minuti, lo so che può sembrare una esagerazione, ma non esagero affatto. Potevo provare a cercare un Uber ma avevo due problemi, il primo era che con quel traffico sarebbe stato impossibile raggiungermi, ammesso che avessi trovato la disponibilità di un’ auto, ma soprattutto avevo il telefono che si stava scaricando, non avrei potuto più trovare l’auto senza il telefono. Lo so potevo uscire con una power bank in borsa, cosa che in viaggio faccio sempre. Ma io ero uscita a fare una passeggiata in una giornata di sole a Londra e potevo tornare a casa in qualsiasi momento, non ero preparata per un assedio e soprattutto prima di uscire avevo chiesto a un deficiente se c’era lo sciopero dei mezzi. E mi aveva risposto di no. Faceva freddo e io continuavo ad aspettare il 15 che non arrivava, faceva freddo e io ho cominciato a sentire mal di testa, a un certo punto ho pure pensato: sei la solita, non avresti dovuto esporti, avresti dovuto cautelarti, è questo che dovresti fare invece di venire a fare le prove di sopravvivenza a Londra. Il 15 non arrivava e cercavo di capire come fare per tornare a casa senza neppure google map che potesse aiutarmi perché da 20 per cento di batteria eravamo velocemente passati a 15. Ho anche pensato adesso mi butto a terra e piango. Poi ho pensato che in qualche modo avrei fatto, che era inutile aspettare il 15 perché non sarebbe arrivato e comunque la città era congestionata per cui anche con il 15 sarei arrivata a casa di notte. Ho telefonato al deficiente e gli ho chiesto quanto distava il ristorante che aveva prenotato da Charing Cross, circa 50 minuti mi ha detto, ci vediamo lì allora, mandami indirizzo. così mi ha mandato indirizzo e geolocalizzazione ma io l’avevo geolocalizzato con citymapper perché ho letto solo l’indirizzo e non ho aperto il messaggio, perché non mi aspettavo fosse improvvisamente così lucido. Quindi ho salutato il mio tristissimo gruppo di attesa del 15 e ho seguito le indicazioni di citymapper per 110 Bishopsgate, mentre la giornata si era trasformata in fredda con nevischio. Come se fossi stata risucchiata nel mondo di Narnia. Dopo qualche centinaia di metri e con l’angoscia che il telefono mi avrebbe abbandonata di lì a poco ho intravisto in lontananza il fiume (che mi ha subito riportata agli insulti al deficiente), che poi si è avvicinato e che ho seguito per qualche chilometro, cercando di memorizzare le strade successive, perché intanto la batteria era al 9% e sapevo che di lì a poco mi avrebbe lasciata. Quindi credo di aver corso, tra la pioggia, la confusione delle auto, la gente a frotte che incontravo, ho corso cominciando a sentirmi leggera, il mal di testa era passato, ho ricominciato a sentirmi bene, sono passata da South Bank e mi sono ricordata di Match Point, ambientato in quel quartiere stupendo, chissà se è reale un quartiere così, se c’è gente che fa la spesa, che accompagna i figli a scuola, se esce per andare al dentista, o se può essere solo un set. Intanto correvo e guardavo un po’ citymapper e un po’ spegnevo lo schermo per preservare un po’ di batteria, poi il lungo fiume è finito e mi avvicinavo sempre di più alla City, era freddo ma stavo bene, il movimento mi faceva sentire solo un piacevole fresco sulla faccia, solo la mano con cui tenevo il telefono era infreddolita. Il deficiente a un certo punto mi ha chiesto se ero viva, chiedendo conferma se ci vedevamo al ristorante. Certo, io dove sto andando allora? Ero uscita col sole, stava diventando buio, ma per ragioni che non so,  ero sempre più rilassata. Intanto il telefono passava al 4% di batteria. A un certo punto mi sono pure distratta e ho perso la traiettoria, poi l’ho ritrovata mentre ripetevo ad alta voce il nome delle vie da memorizzare se si fosse spento il telefono.

Sono arrivata al 110 di Bishopsgate con l’1% di batteria, ma si vede che l’algoritmo ha incrociato i miei dati e mi ha fatto fermare all’ingresso di servizio. Per fortuna mi è venuto il dubbio e ho chiesto, intanto il telefono è morto. E’ dall’altra parte mi ha detto un ragazzo, sono andata dall’altra parte ma non vedevo l’insegna che cercavo, quindi sono entrata in una hall di non so neppure cosa  e ho chiesto se era quello il numero civico che cercavo, no signora ma è qui, venga l’accompagno. Mi ha accompagnata, deve avermi vista stravolta, comunque sono arrivata dove volevo, il deficiente è riuscito pure ad arrivare dopo di me. Abbiamo mangiato, mi sono rasserenata, mi ha portato pure una power station per ricaricare il telefono, che gentile. Ma sempre deficiente. Poi siamo tornati a casa, a piedi. Riassunto della giornata:12 km da Charing Cross. Quelli fatti prima non li mettiamo in conto. Un Figlio deficiente. Una bella cena con una vista magnifica e un paio di sandali superlativi.

 

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la nuova versione di me

Da quando sono diventata follower della Chiara (con la quale ho empatizzato dato l’odio rovesciatole a Sanremo) mi si aprono su Instagram le dirette delle sfilate di moda che più di moda non si può. Immagino il mio algoritmo più perplesso di me, sulla mia pagina sono passata dalle frasi motivazionali e la pubblicità sulle cremazioni a costi imbattibili (giuro) alle sfilate di moda: Dior, Armani, Chanel, anzi alle dirette proprio della sfilata e io so tutto di moda, quest’anno la sfilata di Chanel è ispirata alla camelia di Coco, avanguardia pura.

Sarà che piano piano mi sto riposizionando e ho aggiunto alle mie ricerche l’Irlanda dopo anni di Egeo e mar di Marmara, comunque a parte i reel sui gattini, mi sono persa.

Il mio algoritmo è un po’ in affanno, quindi proverò a mettere un po’ d’ordine.

Questo blog mi seguirà nella nuova versione di me perché è tempo di cambiare e, o si fa sul serio, o si muore (riferito al blog, eh).

 

 

 

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dal mare di Bodrum

Bodrum la raggiungi in trenta minuti di traghetto dalla Grecia, dal lungo di mare di Kos a quello di Bodrum cambia tutto, il sole tramonta sul mare quando lo guardi da Bodrum. Il Castello visto da lontano è imponente, ti rimanda a tutte le cartoline da Bodrum, quelle in cui i tuoi amici partivano per il giro in Caicco, che io non ho mai fatto e che credo resterà una di quelle cose che non ho mai fatto nella vita.

Da vicino invece si vede benissimo che il castello di autentico ha veramente poco, così se fa troppo caldo e decidi non vederlo, non ti senti neppure in colpa. Credo che il caldo e la siccità qui siano una questione che precede il global warming. Non capisci che sei in Turchia appena arrivi a Bodrum o meglio, hai bisogno di un po’ di tempo.

IL cibo è quasi sempre più a buon mercato rispetto alle isole del Dodecanneso da cui provengo, i  pomodori sono buonissimi, dal profumo intenso, è strano vista la mancanza di acqua. Ho mangiato anche un’insalata greca infinitamente migliore di una qualsiasi insalata greca in Grecia. Cozze fritte e panino con le sarde fritte indimenticabili, ma soprattutto verdure e ortaggi di innumerevoli varietà e davvero di qualità. La cucina turca somiglia molto alla cucina tradizionale del sud ma le materie prime sembrano superiori. La mia è ovviamente una statistica basata sull’esperienza personale. Forse sono stata fortunata, ma ho girato mercati e visitato bancarelle e sentito profumi inebrianti. Il tipo di turismo, internazionale e mediamente danaroso di Bodrum, lo riconosci dal tipo di locali sparsi per la città, se a Istanbul trovare alcool o bere una birra è il risultato di una ricerca, perché l’economia naturalmente si basa soprattutto sui residenti e non sul turismo, a Bodrum c’è l’imbarazzo della scelta, è la città meno turca della Turchia, suppongo. Questa estate infinita la rende ancora affollata in ottobre, le spiagge cittadine si specchiano su quel mare il cui colore suppongo ispiri il nome della costa, turchese. Incredibile e caldissimo. Se chiudo gli occhi potrei giurare di essere sempre stata qui.

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Il caffè tradizionale Turco

Al Cafe Naftalin nel quartiere di Balat a Istanbul, puoi bere il caffè tradizionale di Mardin, che se non sei l’italiano scemo che il caffè solo in Italia, è buonissimo, aromatizzato con chiodi di garofano e cannella, servito con un dolcetto. In Turchia il caffè viene sempre servito con un dolcetto, devi aspettare che la polveri si posi, bere un caffè non è qualcosa da fare al volo al bancone o prima di uscire, richiede tempo, voglia di conversare e la pazienza per aspettare, è più una lezione di vita che un tonico. Più buono del caffè tradizionale greco (non me ne vogliano gli amici greci sempre e spesso giustamente in lotta sui primati con la Turchia) è servito in tazze colorate, decorate, anche le più semplici non sono mai banali. Su di me le tazze dei caffè turchi esercitano un fascino paralizzante, le guarderei per ore, anche quelle fatte con le decalcomanie più kitsch. Immagino secoli di tradizioni ottomane che ne hanno selezionato le più gradite, le più preziose e che concedono poco al gusto della contemporaneità, però forse sono solo mie fantasie e magari mi sbaglio. Forse anche loro sono invasi da cialde e da Nescafé, forse io chiedo il caffè  tradizionale mentre i turchi detestano aspettare che la polvere si posi.

Non voglio saperlo, ci sono proprio cose che non voglio chiedere e sapere, questa è una di quelle.

Io immagino che c’è una tazza per ogni occasione, una per il caffè dopo pranzo e un’altra per quando arrivano gli ospiti, una per le feste comandate e un’altra per le feste importanti di famiglia. Immagino case foderate di tazze e profumo di caffè speziato. In realtà i turchi preferiscono il tè, lo so, però non disdegnano il caffè e al Cafè Naftalin potrete trovare un piccolo museo della nostalgia, come suggerisce il nome e pure un menu con una frase tratta dalle Lettere a Milena di Kafka vergato  a mano, altra suggestione che mi ha sbalordita. Forse gli appassionati di letteratura che non hanno la fortuna di nascere ricchi devono ringraziare il caffè se riescono a sopravvivere a Istanbul (e anche altrove) devono ringraziare le decalcomanie Kitsch, il rito ottomano del caffè e le lettere a Milena:

“Per qualche motivo che ignoro, mi piaci moltissimo, molto, niente di irragionevole, direi quel poco che basta a far sì che di notte, da solo, mi svegli, e non riuscendo a riaddormentarmi, ti sogni”. Questa la frase capitata a me il giorno il cui sono andata al Cafe Naftalin nel quartiere di Balat a Istanbul.

Ora quando faccio il caffè metto sempre nel filtro un po’ di polvere di cannella e un chiodo di garofano.

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