il filtro da tè

uno dei primi oggetti che ho comprato a Bologna, mille anni fa, è stato il filtro da tè in midollino, in un negozio naturalmente scomparso, che si chiamava il Cestaio e che a me piaceva un sacco. Per quale ragione io abbia conservato un simile oggetto così inutile per me che bevo il tè solo se ci sono zero gradi e che negli anni ho collezionato filtri da tè di cui nel frattempo mi sono fieramente disfatta,  stento a capirlo, ma oggi mi ci sono soffermata: che fai qui filtro da tè orientale, perché continui a inseguirmi? Io butto tutti gli oggetti lo sai, me li scordo, me ne disfo, me ne libero, perché resisti?

Il mio filtro da tè in midollino resta di lì e parla di me.

Mi hai voluto perché ti piaceva la parola midollino, delicata e sofisticata, quanto eri spocchiosa, e si vede che quella parte di te ancora sopravvive. Caro filtro in midollino, sapessi quanti oggetti sofisticati e delicati mi sono passati tra le mani, li ho dimenticati e mai rimpianti, perché tu no?

Perché hai sempre considerato importanti le cose inutili, io ero come un cimelio dalla vita che avevi davanti, una promessa esotica, un filtro da tè orientale, un altrove che ti riportava a quella te in cui tutto era promessa.

Non mi convinci filtro da tè in midollino, continuo a considerare importanti solo le cose inutili che per me e solo per me, sono  essenziali, ho avuto tanti oggetti che rappresentavano un altrove ma solo tu resisti, perché?

Perché non hai ancora disperso quella spinta di mondo evocato che ti ha fatto decidere di prendermi con te, non è me che conservi, ma lo sguardo della ragazza che lo scelsero.

Forse, adesso ci penso su e ti faccio sapere.

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Io e miei capelli 3

(….)In prima liceo il professore di filosofia mi fece fare una ricerca approfondita sulle streghe, gli feci una domanda e lui mi rispose con una bibliografia, scoprii che esistevano le bibliografie e la possibilità di sapere senza ripetere luoghi comuni, che non si poteva dire: l’ho sentito o me l’hanno detto o lo so e basta; bisognava citare le fonti. Più tardi  ho scoperto che c’era un sacco di gente che citava fonti mai consultate e che bastava alzare la voce per avere ragione, ma naturalmente per almeno dieci anni l’ho ignorato e la mia passione per le streghe mi portò a scoprire che non esistevano e che fu solo uno dei modi infiniti in cui si propagava la misoginia intanto aumentò il disprezzo per i miei capelli;  in effetti anche tu somigli a una strega, mi dicevano, oppure: ti farò fare la fine delle tue amiche del ‘500, mi diceva ogni tanto quel prof., lo diceva affettuosamente, lo dico subito, ma lo diceva. I miei capelli avevano comunque un riferimento culturale e storico certo: le streghe. In realtà il riferimento era solo iconografico ma comunque, da lì dovevo provenire insieme  ai miei capelli. (…)

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Appunt/amenti col suono

Ascoltare un audiolibro naturalmente non è come leggerlo, ad esempio non posso sottolineare le parti che mi hanno colpito e soprattutto rileggerle. E’ come avere a disposizione un altro testo perché diversa è l’interazione, questo mi è chiaro. Però a volte sono occupata con le mani e mi piace un sacco ascoltare un podcast o un audiolibro, mi sembra di non sprecare il tempo. Ma sbaglio ad avere paura di sprecare il mio tempo e infatti sto ascoltando un audiolibro che mi insegna  che non devo sottrarre o moltiplicare il tempo ma esserlo. Comunque ho bisogno di trattenere alcune cose ascoltate e allora le scrivo qui. Non accettare più le sfide, non dare importanza alle sfide, piuttosto imparare a sintonizzarmi con quello che mi sfida, comprendere cosa mi fa essere ogni cosa, non cercare di imparare dai maestri ma cercare quel che cercano loro. Essere la libellula che va verso il lago per fare il pieno di acqua da portare per spegnere il grande incendio e quando il re Leone la sbeffeggia dire: lo so che sono solo 4 gocce d’acqua, ma io faccio la mia parte (Un’etica di ferro, mi piace tanto averla). E poi mi è piaciuto che quel ho sentito sul suono delle ambulanze: quando sentite un’ambulanza, non soffermatevi sul fastidio, piuttosto fermatevi e dite: lo so che hai bisogno di aiuto e io ci sono, ti mando il mio pensiero. Esserci in silenzio, da lontano. Serve non serve, non importa (questo lo aggiungo io). Le parole ascoltate sul dolore e la paura, quelle sono già esperienza. Le emozioni durano circa due minuti, il resto è auto narrazione.  Imparare a stare per superare dolore e paura. La soluzione è sempre stare e farsi attraversare. (Ascoltando”Il silenzio è cosa viva” di Chandra Livia Candiani)

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La solitudine dei miei capelli (…)

(…)I miei capelli durante l’estate potevano crescere perché mia madre durante l’estate aveva da fare, si provvedeva al taglio militaresco prima dell’estate e fino a quando ricominciava la scuola non se ne  parlava più. Non si parlava di nulla a dire il vero, le cose importanti erano altre e allora io mi cercavo alternative, mi dimenticavo il mio aspetto perché era l’unico modo per sopportare come mi acconciavano e almeno in estate facevo quello che mi pareva. Nessuno mi guardava, iniziava la mia libertà.

Mi sarebbe piaciuto avere qualcuno che mi guardasse senza disapprovare i miei capelli. Ma in mancanza di quello mi cercavo qualcosa da guardare io.

Così passavo le mattinate in spiaggia, in acqua e con le amiche venute dalla città quasi mai interessanti quasi mai gentili ma almeno avevo qualcosa da fare, il mare e poi il pranzo e poi i pomeriggi in cui dovevo sopportare i rimproveri perché non ne volevo sapere di dormire e poi vestirmi per la sera, le passeggiate della sera il colore del cielo che da violetto diventava lapislazzulo e le stelle infinite, l’odore della salsedine, il bagliore delle luci della costa sul mare, quel bagno di bellezza era la consolazione della mia solitudine. La mia e quella dei miei capelli.

Poi cominciavano le litigate per andare a letto, io che non volevo andare a casa da sola, mia madre che mi intimava di farlo, senza capire mai la mia disperazione. Non potevo andare a casa senza di lei e quando mi diceva che c’era mia sorella mi faceva sentire ancora peggio. (…)

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aggiornare il blog a Milano

dalla Feltrinelli della stazione centrale di Milano si può aggiornare un blog. Mi pare un buon vantaggio. Aggiornare #gallinacciainfuga.it da Milano, mi fa sentire clandestina quasi come se leggessi Lolita a Teheran, ok scherzo.

Sono a Milano dalle 7 e 50 di ieri mattina, sono riuscita ad arrivare in aeroporto con un certo anticipo come se non potessi perdermi qualcosa della giornata che mi aspettava. In Humanitas dalle 8.30 mi sono messa pazientemente ad aspettare il mio turno per la colazione, ooops, per il prelievo ovviamente. Alle 10,30 mi sono accorta che però qualcosa non andava. L’attesa era troppo lunga e poi continuavano a scorrere numeri che ero certa fossero successivi al mio. All’inizio mi sono detta che forse c’erano delle urgenze, forse c’erano persone che dovevano fare terapie per cui avevano necessità di fare prima i prelievi, forse c’era più gente del solito. Ho chiesto al responsabile di sala se ci potesse essere un disguido e lui, come uno che sapeva benissimo che poteva esserci un disguido è entrato nel box prelievi e ha chiesto. L’infermiera non trovava il mio nome in elenco, pur avendo io fatto prenotazione e accettazione, mi ha comunque chiamata per nome invece che con il numero e alla fine ha appurato che la segretaria non aveva chiuso la pratica che però era in ordine. Dovendo fare la Tac nel pomeriggio era troppo tardi per fare colazione e quindi ho atteso, ho atteso e ho atteso. Fino alle 18.30. Quando finalmente ho vinto l’accesso alla TAC, è incredibile la gioia che ti può dare fare una Tac se aspetti.

Dopo la TAC ho raccolto le mie cose per uscire di corsa ma poi quando stavo per guadagnare l’uscita mi sono ricordata che dovevo farmi togliere l’ago con cui mi avevano infuso il liquido di contrasto e quindi sono tornata dall’infermiera della radiologia. Che però non c’era. Ma poi è arrivata e quindi sono uscita. Mentre riattraversavo il corridoio ho pensato che se non trovavo il taxi avrei fatto prima a uccidermi, così per risparmiarmi la fatica di trovare una soluzione. MA il taxi c’era e quindi ho dovuto aggiornare i programmi. In albergo però ho scoperto che non c’era il ristorante e quindi per mangiare sarei dovuta uscire. Lo so potevo ordinare qualcosa, potevo capire se mi rimediavano qualcosa. Potevo. Ma non avevo la forza di fiatare così sono andata a dormire e più che un sonno deve essere stato uno svenimento perché fino alle 8 di mattina non ho capito più nulla.

Sono scesa a fare colazione, ho scelto accuratamente il cibo che non avesse minimante a che fare con una dieta anti infiammatoria e ho mangiato e bevuto latte e caffè, pessimo ma pazienza.

Ora dalla Feltrinelli della stazione centrale, attendo il treno che mi porterà a Rimini e la giornata di ieri mi sembra lontanissima

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ancora sull’attenzione

Come sanno tutti i distratti, ci si perde molto quando si è presi solo dai dettagli, ma come sanno gli ex distratti come me, ci si concentra sui dettagli per sopportare il tutto e per attraversare il tempo con meno angoscia. Quando riusciamo a recuperare l’attenzione, la presenza nel qui e ora come insegna lo yoga e come insegnano quasi tutte le discipline fin dal mondo antico (Hic et nunc) conquistiamo un super potere, che non è il controllo della realtà e degli altri, ma esattamente l’opposto, la capacità di leggere e decodificare solo attraverso l’osservazione, in un certo senso ci si libera dalla necessità di restare in attesa delle risposte, delle conferme. Io lo faccio come esercizio, mi chiedo come si evolverà una situazione, me lo chiedo in base alla mia osservazione il più possibile onesta, priva di pregiudizi e di preconcetti ma ho i miei elementi per valutare, li abbiamo tutti, se sappiamo osservare. Mantenere la concentrazione e aspettare, il tempo svela. Non ha nulla a che fare con il giudizio, piuttosto sulla capacità umana, tutta umana, di comprendere senza affidarsi all’oracolo.

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