lo sguardo e i super poteri

la mia amica Giovanna ha cominciato da poco a praticare yoga, così quando mi ha chiesto cosa intendevo dire a proposito dello sguardo che indica la direzione, mi è venuto in mente Dristhi. Le cose sono andate più o meno così: chiedi alla tua insegnante cosa è Dristhi. No,  non chiedo, è troppo impegnata con altre cose, la perdono solo perché mi sento meglio.

Praticare Yoga e sentirsi meglio, dopo poche lezioni, o non è vero oppure  significa che hai imbroccato il corso giusto, comunque ho dovuto spiegare a lei un po’ maldestramente cosa è  Drishti, ne ho pure scritto un paio di post fa. In ogni caso le ho detto che è lo sguardo che crea l’intenzione e la direzione, più o meno. Mi ha risposto: è un super potere.

E’ qualcosa a cui in effetti non avevo pensato, potrebbe pure essere un super potere nel senso yogico del super potere: abbiamo infinite risorse e attingere a loro è semplice. Quindi lo sguardo che punta ad un obiettivo e ti trascina fino all’obiettivo, anche in senso traslato, è un super potere, in un certo senso.

Come lo è l’attenzione, la concentrazione, tutti gli aspetti su cui la pratica si focalizza.

Ora, io non sono una sostenitrice del pensiero magico, considero lo yoga una chiave, un alleato, non  dò  alla pratica poteri taumaturgici sebbene mi sia e mi sia stato stata infinitamente di aiuto, però Giovanna ha ragione, Drishti, in senso traslato ma anche nel senso nello sguardo che mi porta verso la direzione, è un super potere.

Comunque io oggi sarò a Milano, quindi mi affido al super potere che mi si è appena svelato e ne riparliamo tra un paio di giorni

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Ti vedo

Ancora sullo sguardo. Stamattina ho incontrato una persona che conosco bene, nel senso che ci conosciamo da moltissimo tempo a abbiamo condiviso tante cose. Era dall’altra parte della strada, ma mentre mi preparavo a salutarlo e a scambiare due chiacchiere, ha preso un’altra direzione senza accorgersi di me.  Aveva un’espressione smarrita e sconsolata. Come se avesse avuto 4 anni e avesse appena perso di vista la mamma in un centro commerciale sconosciuto. Sconsolato e perduto. A proposito dello sguardo.

Ho considerato che ogni volta che lo incrocio per caso ha quell’aria perduta, che non è quella dell’allampanato come spesso realizzavo tra me me e me, è proprio l’aria perduta.

Sempre a proposito dello sguardo. Quando invece lo sento parlare, e mi capita spesso, in presenza di altre persone o solo in mia presenza, sembra uscito dal catalogo delle esistenze realizzate.

Poi un giorno guardi e capisci e allora ti chiedi come hai fatto a non accorgertene prima. Ma non è che non me ne accorgessi, solo trascuravo la sensazione preferendo dare credito alle parole. Stamattina ho  solo messo insieme le intuizioni che mi regala il mio sguardo. Non avrei voluto uscisse dal catalogo delle esistenze realizzate e compiaciute. Avrei preferito saperlo contento così come si racconta ma è uscito da solo, quando ho permesso al mio sguardo di ricucire tutti gli sguardi degli ultimi anni, gli sguardi che me lo hanno fatto cogliere da solo, infelice e perduto. Anche quando non davo peso al mio sguardo, ha lasciato un’impronta dentro di me

 

 

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sempre sullo sguardo (Drishti)

Continuo a pensare allo sguardo, agli sguardi e alla loro direzione. Drishti in sanscrito vuol dire sguardo, nello yoga ogni asana è accompagnata da Drishti, la direzione dello sguardo, la giusta direzione dello sguardo ci consente di eseguire correttamente la posizione.  Nella posizione del guerriero, la prima,  Virabhadrasana A,  una delle posizioni di forza e radicamento, la direzione dello sguardo è “fino al cielo”.

E’ la direzione, sempre, che ci mantiene centrati, che ci aiuta a resistere.  Non il modo il cui poggiamo le gambe, stendiamo le braccia,  o meglio non solo;  ciò che ci fa raggiungere l’obiettivo è lo sguardo. Restiamo stabili e forti guardando fino al cielo. Lo sguardo ci  raccoglie e ci porta oltre quel che vede, la direzione e la concentrazione che richiede Drishti, ci porta oltre ma ci fa restare stabili.

Dalla terra, con i piedi ben piantati, il  baricentro perfettamente allineato, con la sensazione che nulla ti possa far vacillare, che puoi farcela, la posizione del guerriero, non la raggiungi senza guardare fino al cielo.

Lo yoga insegna che bisogna mantenere lo sguardo morbido,  è lo sguardo che vede oltre cose, non giudicante, che può cambiare direzione in base all’obiettivo (alla posizione), lo sguardo che trascina avanti. Lo sperimentiamoo tutti i giorni, andiamo dove e come guardiamo.

 

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Lo sguardo

Ieri mattina sono andata a ritirare il referto di un prelievo, avevo le cuffie e l’aria sgargiante, anche gli occhiali da sole, al chiuso. Non volevo avere l’aria mesta probabilmente e mi sono vestita in modo troppo appariscente, per il luogo. Così dopo aver ritirato allo sportello il mio foglio, mi sono allontanata per leggere i risultati, uno in particolare, e devo aver detto qualcosa a fior di labbra. Alzando gli occhi ho visto che una ragazza mi stava guardando e che aveva seguito tutti i colori e i riflessi e la gamma di emozioni che era apparsa sul mio viso. Quando ho ripiegato il foglio le ho sorriso, mi ha sorriso. Ci siamo dette intere biblioteche, davvero. Le ho voluto bene, lei ne ha voluto a me. Gli occhi buoni ti restano dentro, lo sguardo benevolo resta addosso, esattamente come ferisce immensamente uno sguardo torvo. Potrei dire che il mio sguardo spesso non vede,  distratta da fili di pensieri mai interrotti oppure interrotti e ripresi, spesso non mi accorgo di cose importanti, ma deve essere stata la mia maniera di proteggermi dagli sguardi che feriscono, negarli ignorandoli. Almeno fino a un po’ di tempo fa era così, ora sono molto più attenta e concentrata. Perché  lo sguardo indica sempre la direzione, dove guardi vai e naturalmente vale anche per la testa e il cuore.

 

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Respira

Lo yoga insegna che nasciamo con un numero limitato di respiri e che l’unica possibilità che abbiamo per vivere di più è allungarli. L’esempio più frequente è quello della tartaruga, che vive tantissimo, emettendo circa 4-5 respiri al minuto.

Secondo questo ragionamento chi ha il fiato corto, chi è costantemente trafelato, in ansia e agitato, si accorcia la vita. Semplice buonsenso.

Sebbene nel piccolo osservatorio della mia esistenza non posso dire neppure di aver visto andar via prima gli ansiosi, a parità di anni raggiunti. Per cui mi sono fatta l’idea che il senso del principio sul quale alcune discipline insistono è che con i respiri lunghi, si vive semplicemente meglio.

Si dovrebbe vivere rallentando il respiro, non evitando i pensieri che lo accelerano, caso mai attraversandoli. Almeno questo è stata la mia soluzione, mutuata anche da quei principi, smettere ogni forma di evitamento; cercare, se possibile di raggiungere il centro delle cose, non negarle e non sfuggirle e nonostante tutto respirare lentamente, non sempre ci riesco ma almeno ho imparato a non negare, quando ho cominciato ho dovuto rileggere e reintepretare tutta la mia storia e scoprire che il ricordo, anche il ricordo, altro non è che interpretazione della realtà. La realtà ci sfugge appena ci sembra di raggiungerla, è l’isola perduta. Eppure se si vuole davvero allungare il respiro, bisogna provarci. I modi sono infiniti, ognuno trova il suo ma alla fine il senso delle cose è tutto lì: conoscere se stessi e farlo con i propri mezzi senza risparmiare sulla parte più dolorosa.

Qualche giorno fa una mia amica mi ha detto che vado sempre negli stessi posti. Una gallinaccia in fuga dove sa.  Non è del tutto vero, ma in parte lo è ed  è comunque il mio modo di conoscere me stessa. In ogni luogo rivisitato, vado a trovare un pezzo di me. Qualche volta verifico quella che sono stata e quella che sono, rincorro nuove cose  pure nei passi già percorsi,  ho bisogno di tornare ancora e ancora pur non avendo alcuna attrazione per la nostalgia. E’ che i luoghi sono simboli, pezzi sparsi che ritrovo nella composizione dello spazio che percorro per raggiungerli e finché risuonano ho bisogno di ritrovarli, è uno dei modi di allungare i miei respiri.

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